Lei mi parla ancora
di Pupi Avati, con Renato Pozzetto, Fabrizio Gifuni, Stefania Sandrelli, Chiara Caselli, Lino Musella, Isabella Ragonese, Alessandro HaberL’8 febbraio in prima visione su Sky Cinema, poi a disposizione on demand e in streaming su NowTv
Lo scrittore Amicangelo, Gifuni intristito dall’insuccesso (scrive senza mai apparire col suo nome autobiografie per gente che ha avuto successo) viene chiamato a scrivere la vita di Nino (Pozzetto), farmacista e collezionista d’arte rintanato in una specie di Vittoriale di campagna : da quando gli è morta la moglie Rina (Sandrelli) dialoga coi morti, nei sogni e nei ricordi. Lo scrittore è stato chiamato dalla figlia di Nino (Caselli) che dirige una casa editrice: in cambio lei dovrebbe leggere l’eterno romanzo (dal titolo atroce) che lo scrittore non finisce mai. Lo scrittore dovrebbe far parlare Nino per strapparlo alla tristezza: invece succede il contrario. La storia -per la prima volta in un suo film- non l’ha scritta Avati: viene dall’autobiografia di Giuseppe Sgarbi Lei mi parla ancora- Memorie edite e inedite di un farmacista (una tetralogia, scritta dopo i novant’anni): Nino e Rina sono i farmacisti Sgarbi, genitori di Elisabetta (la fondatrice della Nave di Teseo) e Vittorio (il critico d’arte). Pozzetto che fa Nino (la sua versione giovane e mitica è Lino Musella: Rina da giovane è Isabella Ragonese) secondo lo “schema Avati” affronta per la prima volta un ruolo “drammatico”, ma dire così è riduttivo: è sempre Pozzetto, è davvero bravo ed è in sintonia con il mondo dell’Avati padano, rurale e misterioso che definisce i cimiteri “orti dei morti” e mischia morti e vivi in danze sull’argine e pranzi di campagna con zie matte, promesse di immortalità (“se ci ameremo per sempre diventeremo immortali”) e butta lì citazioni dai Dialoghi con Leucò di Pavese. Lascia perplessi l’espediente ( forse necessario in sceneggiatura) di mettere uno scrittore infelice a scrivere una biografia già scritta e felice.
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