Dopo 30 anni il vinile si è preso la sua rivincita: era infatti dal 1991, anno in cui per la prima volta le vendite dei Compact Disc superarono quelle dei Long Playing, che i vinili non vendevano più del cd.
Nei primi tre mesi del 2021, infatti, il vinile è cresciuto del 121% rispetto allo stesso periodo del 2020 attestandosi all’11% delle quote totali di mercato, mentre il cd ha subìto un calo del 6%, scendendo quindi al 9% del marketshare.
Certo, si tratta sempre della più classica delle vittorie di Pirro, visti i numeri di cui si parla, in un mercato dove a farla da padrone è lo streaming, che detiene l’80% del fatturato musicale italiano e che vede l’abbonamento ai suoi servizi in crescita del 37%, ma nel complesso l’industria discografica italiana nel primo trimestre dell’anno è in crescita del 18,8%, cosa che lascia ben sperare il settore.
Certo, bisogna dire che la “rinascita” o, se vogliamo, la “riscoperta” del vinile è dovuta per lo più al culto dell’oggetto da parte degli appassionati e al fiorire di riedizioni limitate e da collezione di album storici piuttosto che dalla qualità della registrazione, perchè i vinili di oggi non hanno nulla a che vedere con quelli di 40 e 50 anni fa: oggi gli album vengono registrati in digitale, pensati per un ascolto digitale, quindi il master che viene stampato sui cd (o usato per lo streaming) è esattamente quello che poi viene usato per i 33 giri, a differenza di un’epoca in cui le registrazioni erano analogiche e pensate per un ascolto su vinile (il lavoro sul suono di un prodotto destinato al digitale o all’analogico è molto diverso), che era l’unico strumento per usufruire dell’ascolto di un disco, insieme alle ormai dimenticate musicassette.