“E io ci sto”, l’ultimo capolavoro di Rino Gaetano

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Rino Gaetano

Dopo lo scarso successo di pubblico e critica ottenuto col precedente album (Resta vile maschio dove vai?), all’inizio del 1980 Rino Gaetano decide di cambiare completamente approccio, e in E io ci sto, che purtroppo risulterà essere l’ultimo album della sua troppo breve carriera torna a strizzare l’occhio al Rino delle origini, quello di Ingresso libero.

La produzione del disco, così come gli arrangiamenti, sono affidati a Giovanni Tommaso, bassista dei New Perigeo, mentre musiche e testi sono tutti del cantautore calabrese, dopo la collaborazione con Mogol nel precedente lavoro.

Come direbbe Pierangelo Bertoli, questo album sembra avere “un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”, come dicevamo. Infatti se a livello musicale è il disco certamente più tendente al rock  della discografia di Rino, anticipando anche quelle che saranno le influenze musicali che caratterizzeranno il decennio che si sta aprendo, a livello di tematiche si torna a quella bivalenza che ha caratterizzato soprattutto i primi lavori di Rino, ovvero brani con uno sguardo sulla società accostati ad altri che raccontano personaggi completamente slegati da essa.

LE CANZONI

Il disco si apre proprio con la title track, E io ci sto, singolo di lancio dell’album, e subito ci rendiamo conto che è diverso da tutto quello che abbiamo ascoltato finora a firma Rino Gaetano: un riff di chitarra elettrica ci porta dentro un brano dall’attitudine decisamente rock, una novità nel suo repertorio. Il brano è una sorta di presa di coscienza amara della società in cui viviamo, in cui ogni giorno bisogna combattere una sorta di guerra di sopravvivenza, ma il protagonista è deciso a vincerla, costi quel che costi. Emerge forte dal ritornello l’amara consapevolezza di ritrovarsi in una società fatta di milioni di persone, in cui però ci si sente soli. Questo tema di fondo sarà quello che in qualche modo lega tutte le canzoni dell’album. (“Mi dicono alla radio, statti calmo, statti buono / Non esser scalmanato, stai tranquillo e fatti uomo / Ma io con la mia guerra voglio andare sempre avanti / E costi quel che costi, la vincerò non ci son santi / Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po’ / E mi accorgo che son solo / Ma in fondo è bella però è la mia guerra e io ci sto”)

Ti ti ti ti è certamente il capolavoro del disco, oltre che uno dei brani più belli ed intensi dell’intera discografia di Rino: una delle rare volte in cui il lato ironico svanisce e viene rovesciata in faccia all’ascoltatore tutta la rabbia e l’amarezza per la società in cui viviamo.
Legandosi alla solitudine del brano precedente, in cui prevaleva l’autodeterminazione dell’individuo di vincere una guerra da solo contro l’intera società, qui Rino cerca l’empatia, la solidarietà dell’ascoltatore, solo come lui ma mosso dallo stesso sentimento. (“A te hai progettato un antifurto sicuro / A te che lotti sempre contro il muro / E quando la tua mente prende il volo / T’accorgi che sei rimasto solo / A te che ascolti il mio disco forse sorridendo / Giuro che la stessa rabbia sto vivendo / Siamo sulla stessa barca / Io e te”)

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Con Ping pong si torna all’ironia e alla leggerezza con cui Rino ha sempre “mascherato” la critica verso la società, ed anche qui non è da meno, mentre in Michele ‘o pazzo è pazzo davvero ritroviamo il racconto di quei personaggi cari al cantautore crotonese, fuori dagli schemi e quindi dalle regole della società, come era ad esempio Agapito Malteni. Con amara ironia constatiamo che Michele, oltre ad essere soprannominato pazzo, è veramente pazzo in quanto idealista. (“Crede in un mondo più giusto e più vero / Michele o’ pazzo è pazzo davvero”)

Apre il lato B del 33 giri (nonchè anche b-side del 45 giri di E io ci sto) Metà Africa metà Europa, un altro dei capolavori di questo album brano che mette a confronto i due continenti, fondendoli in alcuni punti, come a voler dire “ma l’Africa, quella intesa in senso spregiativo nell’immaginario comune, è proprio così lontana da noi?” (“I riti tribali di stregoni cardinali / Di ministri triviali, è Africa / Africa, terra nera bruciata, è Africa / Le bombe, il sangue, è Africa / Una mamma che prega, un fermo di polizia / Uno sparo, un ferito, è Africa”)

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In Jet-set, come è stato in Standard o in La zappa, il tridente, il rastrello…, Rino punta il dito contro uno spicchio della società: se in passato l’obiettivo sono stati i cosidetti aristocratici, i politici e perfino i suoi colleghi cantautori, ora è la vacuità del mondo dei vip, quello che vive sotto i riflettori e che raggiunge uno status quo solo grazie al gradimento del pubblico, ma che di fatto è inconsistente. A farne le spese, come simbolo di una categoria intera, sono Gil Cagnè, Elsa Martinelli e Marina Lante Della Rovere. (“È democristiana perché sta in ballo o monarchica se va a cavallo / È socialista o radicale nei giorni dolci e in quelli agri / Potrebbe fare da quarto a Guttuso, Marta Marzotto e Lucio Magri / Ama il sesso in maniera giusta con Moratti o Corrado Agusta / Ma è Elsa Martinelli non ha fatto molti film e quei pochi neanche belli / Quando incede è una gazzella e sotto il sole non si spella”)

È la volta della storia di un altro personaggio, sempre sulla scia dell’idealismo di Michele ‘o pazzo: stiamo parlando di Pedro Felipe, o per la gente semplicemente Sombrero.
Una storia talmente idealizzata da porre il dubbio che Sombrero forse non esista nemmeno: è una sorta di Robin Hood che “Rubava ma solo per dare / La roba del ricco al povero nero”, eppure “Nessuno l’ha mai incontrato / Ma ogni peone ama solo Sombrero”. I dubbi sulla reale esistenza del personaggio continuano, visto che sebbene sia morto in un agguato nessuno l’ha visto morire, quindi la povera gente è convinta che sia ancora vivo e che quindi il momento della rivalsa arriverà.
Una sorta di iperbole assoluta dell’idealismo di Rino unita ad una fotografia perfetta della sua disillusione, che ponendo su un piano purtroppo irraggiungibile l’uguaglianza sociale mette perfino in dubbio il fatto che possa esistere qualcuno che tenti di metterla in pratica. (“Nessuno l’ha visto morire / Per questo la gente sa che non è vero / Negli occhi di chi ha sofferto / C’è una speranza, un amico: Sombrero”)

Chiude questo ultimo album di inediti Scusa Mary, brano che per tematica ricorda Aida, raccontando gli ultimi 30 anni di storia italiana e più in generale anche dell’Occidente.
Il gioco di parole del titolo richiama il famoso “Scusa, Ameri” di Tutto il calcio minuto per minuto e nella canzone una storia d’amore si intreccia alle vicende del mondo, passando per la Cia, la Nato, il Vietnam, Martin Luther King e il famoso Golpe Borghese tentato in Italia nel 1970 (“C’era il dopoguerra e c’era anche il boom / Mentre il tempo passava sulla nostra età / C’era Praga, la CIA, la NATO, il Vietnam / C’era un negro di nome Martin che hanno ammazzato / Tutto questo però ce lo hanno raccontato / Venne il sessantotto e poi le barricate / Mentre sempre l’autunno era più caldo dell’estate / E mentre i Beatles si sciolgono dopo Let it be / In Grecia Papadopulos balla il sirtaki”).

Per chi scrive E io ci sto è certamente l’album migliore di Rino Gaetano, se vogliamo il più completo: maturo nei testi e moderno nella musica, apre le porte a quello che sarà il pop-rock dei cantautori anni ’80.
Un disco da scoprire (o da riscoprire) per apprezzare la bellezza senza tempo di brani come E io ci sto, Ti ti ti ti, Metà Africa metà Europa e Scusa Mary.

Ecco la tracklist e la copertina dell’album:
1. E io ci sto
2. Ti ti ti ti
3. Ping pong
4. Michele ‘o pazzo è pazzo davvero
5. Metà Africa metà Europa
6. Jet-set
7. Sombrero
8. La donna mia / Scusa Mary

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