Da Mango a Tiziano Ferro, passando per “Io vagabondo” e Zucchero: Alberto Salerno racconta la sua carriera

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Alberto Salerno

Venerdì prossimo a Santa Margherita Ligure, nell’ambito del Premio Bindi (per il programma completo cliccate qui), Alberto Salerno riceverà il Premio Artigianato della Canzone. Classe 1949, Salerno è figlio di un grande autore come Nisa e marito di Mara Maionchi. In carriera ha scritto centinaia di canzoni per alcuni dei più grandi artisti italiani della storia della musica italiana. Ha anche vinto, come autore, quattro Festival di Sanremo: nel 1976 con Bella da morire degli Homo Sapiens, nel 1984 (tra i giovani) con Terra Promessa di Eros Ramazzotti, nel 1999 con Senza pietà di Anna Oxa e nel 2003 con Per dire di no di Alexia. Lo abbiamo intervistato.

Che posto occupa Umberto Bindi nella storia della musica italiana?
Secondo me enorme. È stato un autore che non ha avuto una produzione di grande quantità, ma la qualità dei suoi successi è incredibile. Il nostro concerto e Il mio mondo sono canzoni fantastiche, registrate in non so quante lingue. Arrivederci per l’epoca fu una novità assoluta. Purtroppo però è stato poco riconosciuto dagli addetti ai lavori ed anche il pubblico non lo ha apprezzato a sufficienza. Questa è la mia sensazione.

Con Umberto Bindi hai anche scritto una canzone, che però non fu un grande successo.
Sì, si intitolava Mare, obiettivamente non era una canzone straordinaria. Umberto aveva già lavorato con mio padre e io l’avevo conosciuto quando ero ancora piccolo all’Ariston. Ho un ricordo piacevole di quella collaborazione, il disco Bindi lo aveva registrato alla Ri-Fi Record di Tonino Ansoldi. La canzone però non era fortissima.

Sei cresciuto in una famiglia di musicisti, tuo padre è stato un grande autore, quanto ha influito questo nella tua vita e nella tua professione?
Ha influito tantissimo. Mio fratello era diplomato al Conservatorio in pianoforte e contrabbasso, è stato anche arrangiatore, ha lavorato con artisti importanti con Ornella Vanoni e Mino Reitano e inciso molti dischi. Mio padre è stato un “capataz” della musica dell’epoca, un grande autore di canzoni a partire dagli anni ’30, ed ovviamente mi ha influenzato molto. Mi sono innamorato dell’idea di scrivere testi vedendo lavorare lui. In questo senso ha dato un timbro decisivo alla mia vita.

Ricordi la prima canzone che hai scritto?
Ho iniziato a scrivere che avevo 8/9 anni, su un quadernino nero, con le righe delle elementari. Erano testi di bambino, ma già con le rime e in metrica. Il primo vero testo fu per una certa Silvia Oggioni, era un “surf” e si intitolava Se ascolto quel disco. Uscì per l’etichetta Pathé. Non ebbe nessun risultato.

Alberto Salerno

Hai collaborato con tantissimi artisti in carriera. Uno di questi è Mango, purtroppo prematuramente scomparso. Secondo te è un artista che gode della giusta considerazione?
Mango ha avuto un grande successo, ma il gotha del giornalismo italiano all’epoca aveva dei parametri molto stretti e mal digeriva il pop. Se eri nel “ghetto” del cantautorato più arcigno, con un atteggiamento intellettuale di un certo tipo, venivi riconosciuto, se ne stavi fuori no. Cantava testi adatti alla sua vocalità, una vocalità internazionale, che scrivevamo Mogol ed io, e che non potevano essere testi intellettuali. Alla morte di Pino c’è stato un grande “mea culpa” di tanti giornalisti di fama, che gli hanno riconosciuto la grandezza che meritava.

Con Zucchero hai scritto dei capolavori. Come è iniziata la vostra collaborazione?
Avevo aperto con Mogol una società di produzioni e lui un giorno mi ha detto che avremmo lavorato con Zucchero. Dico la verità, non ne ero entusiasta, mi dava la sensazione di essere una sorta di Umberto Tozzi di serie B. Invece si è rivelato un grande lavoratore, ha raggiunto i suoi risultati con grande tenacia e si è riscattato da quella che era stata una partenza un po’ sfortunata, con due partecipazioni al Festival di Sanremo molto mediocri. Poi è diventato il numero uno.

Come autore hai vinto quattro Festival di Sanremo. Quale di questi successi ti ha dato più soddisfazione?
Mi ha molto fatto godere quello con Anna Oxa del 1999, la canzone era Senza pietà. La giuria di qualità era pazzesca. C’erano Ennio Morricone come presidente, i fratelli De Angelis, Toquinho e Umberto Bindi. Vincere con una giuria del genere è stata una grande soddisfazione professionale. Il rammarico è che con Anna Oxa non abbiamo proseguito la collaborazione con lo stesso team, che era fortissimo. Con Claudio Guidetti, Gianni Belleno e Fio Zanotti avremmo potuto proseguire con un percorso artistico formidabile. Questo non è stato possibile per eventi esterni.

Hai scritto Io vagabondo (che non sono altro), una canzone che tutti conoscono. Ti ricordi come è nata?
Franco Daldello, allora mio editore alla Numero Uno, disse a tutti gli autori del gruppo che i Nomadi stavano cercando la canzone per la manifestazione Un disco per l’estate. Io e Damiano Dattoli ci siamo messi a lavorare ed è venuta fuori questa idea. Il giorno dopo siamo andati in ufficio e abbiamo fatto sentire il pezzo a Franco, che è saltato dalla sedia. Ha chiamato Dodo Veroli, che allora era il produttore dei Nomadi. Una settimana dopo è stata registrata la canzone, che poi è diventata un successo molto superiore ad ogni mia aspettativa.

Alberto Salerno

Fra gli artisti con cui hai collaborato, c’è qualcuno che secondo te avrebbe meritato maggior successo rispetto a quello avuto?
Mi vengono in mente due nomi. Il primo è quello di Pablo Ciallella, insieme al quale con Mara abbiamo realizzato un singolo e un album. Era molto alternativo, forse esageratamente alternativo. È stato purtroppo un buco nell’acqua. Il secondo è quello di Leandro Barsotti, che ha iniziato registrando tre album con la RCA. Il suo percorso artistico era quello di un cantautore un po’ alla Serge Gainsbourg. Questi sono due artisti che avrebbero forse potuto fare di più.

Uno che invece decisamente ce l’ha fatta è Tiziano Ferro. Cosa avete visto in lui tu e Mara?
Ci siamo emozionati di fronte al timbro della sua voce, un timbro baritonale caldissimo. Non abbiamo visto nient’altro. Eravamo totalmente obnubilati da questo timbro. Così abbiamo iniziato a lavorare con lui, affrontando anche i problemi che aveva all’epoca.

A proposito di Mara, è difficile lavorare insieme alla propria moglie?
Inizialmente è stata una rottura di coglioni (ride, ndr). Lei era il direttore artistico ed io il produttore, per cui avevo a che fare con il mio capo e spesso e volentieri non condividevo le sue scelte perché non coincidevano con le mie esigenze professionali. Dopo, quando abbiamo fatto la nostra società, siamo invece stati sempre in sintonia ed armonia. Si è così sviluppata una collaborazione unica, vivevamo di musica, anche a casa parlavamo solo di musica. Una specie di ossessione, ma il lavoro o lo fai così o non lo fai.

Oggi scrivi ancora?
No, questo mondo non lo conosco più, io sono di un’altra generazione, è cambiato tutto. Ora mi definisco un “memorizzatore” e racconto su YouTube delle esperienze che ho vissuto, anche insieme ad altri. Il format si chiama Storie di Musica e, per esempio, in una delle ultime puntate abbiamo raccontato la storia di Sorrisi e Canzoni. Sono seguito da un gruppo forte di appassionati di questo tipo di racconti.

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