Sono numerosi i pittori e gli illustratori, senza parlare dei fotografi, che si dedicano a raffigurare i musicisti jazz. A miscelare le emozioni che vengono dalla musica e dall’espressività di chi la suona con il proprio bagaglio artistico e la propria formazione. Ne citiamo nel mazzo alcuni che meritano attenzione: il giapponese Makoto Wada, illustratore, tra l’altro, del bel libro Ritratti in jazz di Haruki Murakami, le americane Gloria O’ Lear e Debra Hurd, talenti indiscussi, il francese Michel Calvet, espressionista profondo, ma anche il macedone Goce Ilievski, con i suoi rigidi bianco e nero, oppure l’armeno Narek Jaghacpanyan, stilizzato e diretto. In Italia possiamo citare l’abruzzese Angela Rossi, con le sue Icone del jazz, Massimo Tassinari e soprattutto il formidabile duo Massimo Chioccia-Olga Tsarkova, apprezzato anche al Newport Jazz Festival (di cui hanno dipinto il poster nel 2014), al North Sea Jazz di Rotterdam, al Birdland di New York e a Umbria Jazz.
Oggi presentiamo una new entry nel club: Severino Salvemini, dal corposo curriculum come economista (in particolare dei settori creativi) e docente (attualmente ha la cattedra di Organizzazione aziendale e tiene il corso di Management delle istituzioni culturali e artistiche alla Bocconi di Milano), come presidente di numerosi enti e giornalista. Il professore ha l’hobby della pittura e si esprime unicamente all’acquerello, con uno stile variegato e un’ispirazione attenta soprattutto agli oggetti dimenticati, abbandonati, persi, che all’improvviso ricompaiono oppure appaiono improvvisamente a carpire l’attenzione. Tre le mostre tematiche che ha finora tenuto nelle gallerie milanesi: Prego, farsi riconoscere al citofono al Milione nel 2014, Fantasmi urbani alla Nuages nel 2018 e Ruggine allo Zeus Garage Blu lo scorso anno, tutte riproposte in interessanti volumi. La prossima si intitolerà Jazz Frames e si terrà all’Hotel del Campo di Matera dal 24 al 29 agosto, in occasione del festival Gezziamoci, giunto alla 34esima edizione. Il cambio di paradigma nella pittura di Salvemini è stato definito dal volume Jazz Frames – Ritratti ad acquerello da poco edito da Skira (pgg. 145, € 30, devoluti in beneficenza a una ong di solidarietà per le famiglie, come già Ruggine), di fatto il catalogo della prossima rassegna.

Paolo Conte

Sono oltre cento i musicisti raffigurati, senza alcun intento storico o didattico, ma semplicemente seguendo la vena di appassionato dell’artista. «Sono i musicisti che preferisco», afferma. E infatti la sua galleria di jazzisti tracima fino a Paolo Conte e Caetano Veloso, Joni Mitchell e Renato Carosone (l’unico non impegnato allo strumento, bensì al volante di un’auto), Paco Ibañez e un imbambolato Elvis Costello, Cesare Picco e il bluesman Fabio Treves, Chuck Brown e la violinista classica Lena Yokoyama, Rokia Traoré e Nazar Khan, la cantautrice Katie Melua e Martha High, la corista prediletta di James Brown, Ludovico Einaudi e Peppe Servillo, Chilly Gonzales e Jaques Morelenbaum. Gli acquerelli sono interpretazioni di foto dei musicisti, alcune famose, altre suggestive (danno l’idea di essere all’origine della scelta dell’artista raffigurato), altre più ordinarie, ma sempre «con l’acqua che scivola da tutte le parti e i contorni che non trattengono, con le tinte su tinte più dolci e aggraziate possibili».

Stefano Bollani

E Salvemini spiega così il suo passaggio dalle “sublimità parassitarie”, secondo la nota definizione del grande critico John Ruskin a proposito dei piccoli particolari che determinano la nostra quotidianità, ai ritratti di musicisti: «questo libro in filigrana sono io: un perenne tentativo di controllare razionalmente ciò che deve essere lasciato andare. Una battaglia continua tra il rischio di errare e il desiderio di non sbagliare, convinto però che la vita sia troppo corta per essere vissuta solo con la testa e non invece anche con la pancia. Che evitare l’imperfezione sia un po’ evitare la piena esistenza.»

Billie Holiday

Battaglia artisticamente dall’esito incerto. Con il taglio fotografico a farla da padrone, con il pathos “sghembo” del jazz che spesso appare composto come una ragazzina alla prima comunione, con la forza espressiva del personaggio ritratto (non sempre centrata: Pat Metheny, Gregory Porter, lo stesso Duke Ellington lasciano perplessi) che supera la dimensione narrativa di un mondo musicale. Mentre la scelta coloristica definisce la classe dell’artista, il suo tocco lieve appare volutamente “in levare” anche quando descrive l’enfasi vocale di una cantante oppure l’astratta compostezza di un pianista, la sua tavolozza delicata riporta alla mente l’elenco poetico de I giusti di Jorge Luis Borges: “Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire./ Chi è contento che sulla terra esista la musica./ Chi scopre con piacere un’etimologia./Due impiegati che in un caffè giocano in silenzio agli scacchi.” Oppure ancora “il ceramista che immagina un colore e una forma”, proprio come fanno con le sette note i musicisti che Severini dipinge.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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