Falling – Storia di un padre
di Viggo Mortensen con Lance Henriksen, Viggo Mortensen, Terry Chen, Sverrir Gudnason, Hannah Gross, Laura Linney
Un figlio (Mortensen) pilota, gay, sposato a un uomo, padre adottivo di una bambina, porta in California il padre malato (Henriksen) per trovargli una casa e tenerlo vicino mentre scende nell’inferno dell’Alzheimer. Con i consueti sintomi che abbiamo appena incontrato in The Father: confusione, perdita delle differenze tra passato e presente, allucinazioni, accessi di rabbia, terrore, violenza, caos. In The Father era tutto da vivere entrando nella testa di Hopkins, qui è tutto da vivere -una scelta di iperrealismo- proiettato sul corpo della famiglia. Con una complicazione sostanziale: il padre (Henriksen nel presente e Svennir Gunadson nel passato) è un contadino, maschilista, violento, fascista, razzista e omofobo, ha distrutto due famiglie ed è potenzialmente letale anche per la nuova famiglia fluida, aperta e per lui disgustosa e incomprensibile. La prima cosa che viene in mente è che l’Alzheimer è terribile ma che l’Alzheimer in un cervello di destra è ancora più terribile. È solo una percezione relativa: il bello di questo film è che non è progressista e forse neppure inclusivo: il padre possessivo aggressivo e intrusivo non viene capito o salvato: è solo amato. La prima regia dell’attore, poeta, fotografo, pittore musicista e sceneggiatore Mortensen è classica fino alla Tradizione e al Naturalismo, e rivela ascendenze nordeuropee, squarci lirici e ritmi a volte lutulenti, eppure riesce a infilare un cameo di David Cronenberg (regista che adora usare Mortensen) che fa un serissimo controllo per via rettale alla prostata di Henriksen. Ironia tra mostri.
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