#iosonoqui

Chef francese drogato di social parte per cercare una pittrice coreana. Ma gli manca il Nunchi

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#iosonoqui
di Eric Lartigau
con Alain Chabat, Doona Bae, Ilian Bergala, Blanche Gardin, Delphine Gleize

Dunque, il tema portante del film è che il protagonista, lo chef Stéphane (Chabat), non ha il Nunchi, parola coreana per definire la capacità di decodificare le emozioni degli altri senza chiederle. Spieghiamo: Stéphane, maturo, separato, padre di due figli, agiato,  proprietario di ristorante, confuso, passa il suo tempo su Instagram da quando ha conosciuto le opere della pittrice coreana Soo. Un bel giorno prende l’aereo e si presenta a Seoul facendosi precedere solo dall’hashtag #iosonoqui, e la pittrice Soo risponde che verrà all’aeroporto, e invece in aeroporto per settimane non viene nessuno e Stéphane gironzola in quello che Marc Augé (nel suo Nonluoghi Introduzione a una antropologia sulla surmodernità) ha definito il nonluogo per eccellenza. E diventa un mito sul web con il soprannome di #frenchlover, l’innamorato francese, mentre i figli partono alla sua ricerca fino a che la pittrice non gli spiega la sua carenza di tatto. Lo spettatore  segue il nostro chef nella sua vita in aeroporto in una specie di documentario ironico sulla surmodernità, un po’ già visto in film come The Terminal di Spielberg o Lost in Translation della Coppola. Evitiamo di piangere sulla perdita dei sentimenti nei social: se il film ha un problema è che anche lui a un certo punto diventa un nonluogo un po’ frigido. Dal regista di La famiglia Bélier

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