Vasco Rossi a Rtl 102.5: «Il problema è essere orgogliosi di essere ignoranti. Diventa un pericolo»

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Vasco Rossi

Questo pomeriggio Vasco Rossi è stato ospite di Rtl 102.5, all’interno del programma “The Flight” con Matteo Campese, Paola Di Benedetto e Francesco Taranto. «Sono sempre molto contento di essere in radio perché le radio sono fondamentali per noi che facciamo musica», sono state le prima parole di Vasco.

L’intervista può essere rivista cliccando qui: Play Rtl.

Di seguito la trascrizione integrale dell’intervista diffusa questa sera da Rtl.

Tu hai fondato una delle prime radio libere negli anni ‘70, Punto Radio.
«Ho un amore particolare per la radio, l’ho anche fatta, Punto Radio, che è stata un’esperienza straordinaria. Eravamo una radio pirata, a quei tempi era proibito, se trasmettevi infrangevi il monopolio RAI. Infatti mi hanno denunciato subito e ho avuto il primo processo della mia vita. Poi sono stato assolto perché la sentenza ha dichiarato incostituzionale il monopolio. Questo ha aperto la strada a tutto il resto, perché poi dopo, per fortuna, le radio sono diventate radio libere».

Il titolo dell’album è Siamo qui, che è anche il primo singolo. Vasco, siamo qui…pieni di guai?
«Siamo qui, pieni di guai”. Mi è venuta senza pensarci questa frase. Io inizio le canzoni con la prima frase, che mi viene in mente all’improvviso, in momenti particolari e io sono il primo che la ascolta. Mi sono chiesto: ma perché pieni di guai? Poi è arrivata anche la terza frase: “Nascondere quello che sei dentro quello che hai”. I guai di cui parlo riguardano la nostra condizione umana, di questo parla la canzone, di amore nei confronti della condizione umana. Una condizione molto fragile, noi arriviamo gettati nel mondo, come dicevano i filosofi. E quando arriviamo nel mondo siamo dipendenti da tutto, abbiamo bisogno di qualcuno, cerchiamo di cavarcela e di soddisfare le aspettative degli altri, della famiglia, degli amici. È naturale, abbiamo bisogno di amore. È questo quello che dico nella canzone, l’ho capito dopo. Io scrivo le canzoni e poi le capisco. Le lascio fluire, io scrivo così. È un flusso onirico».

A proposito di Una canzone d’amore buttata via: perché hai girato il video a Bologna in Piazza Maggiore?
«In Piazza Maggiore c’è stato il mio primo concerto, arrangiato all’ultimo momento, con i miei amici. Un concerto improvvisato dopo un comizio politico, di un partito che nemmeno ricordo. C’era più gente sul palco che ad ascoltarci. Io facevo il DJ e stavo bene così, era quello il mio lavoro. Poi è iniziata questa sfida, ho iniziato a fare dischi per gioco grazie a Curreri che mi spingeva a farli e mi aiutava, prima scrivevo canzoni solo per divertirmi. Avevo già fatto due dischi, in uno c’era “Albachiara”, non li ascoltava nessuno. Al terzo disco ho fatto il primo vero concerto. Pensavo fosse un gioco, poi è diventata una guerra, il pubblico che incontravo non mi conosceva, dovevo convincerli».

In attesa di riprendere con i live e con il tuo tour nel 2022, ti sei riguardato Modena Park?
«Io non li guardo mai i miei concerti perché trovo tutti i difetti, è meglio che io non mi riguardi. Il lockdown è stato un dramma per tutti, la mancanza di concerti è stato un dramma per tutti. Una tragedia epocale. Mai avrei pensato di vivere una situazione del genere, sembrava un film di fantascienza. Finché abbiamo dovuto rimandare i live del 2020 ero abbastanza tranquillo, eravamo convinti che almeno nel 2021 si potesse riprendere. Quando invece abbiamo dovuto rimandare anche il 2021 sono andato un po’ in crisi, mi sono sentito inutile. Io faccio concerti, la mia vita comincia a essere priva di senso senza i concerti. A me piace solo la musica. Da questa esperienza ho imparato a distinguere ciò che importa davvero, ho capito che ciò che conta è l’amore della tua famiglia e delle persone che hai vicino. Come dicevo prima, la nostra vita è gettata nel mondo e noi siamo una nullità. Tu acquisti senso solo quando qualcuno ti ama. Il potere dell’amore è quello di dare un senso alla vita». 

Basta poco per tirar fuori una canzone? Hai cambiato le regole anche in questo, hai buttato fuori un “disco volante” come lo hai chiamato tu.
«Sì, la canzone che non appartiene a un album: volevo farla sentire subito, senza aspettare di fare tutto l’album. Da ascoltatore anche io faccio così, scarico i brani e mi faccio la mia playlist, non scarico tutto l’album. Ho pensato che fosse meglio buttar fuori una canzone che vale un album. Mi piaceva pensare a qualcuno che si sveglia la mattina e senza saperlo ascolta una canzone nuova, la sente e gli piace e magari chissà, è una canzone di Vasco Rossi. Volevo una cosa del genere. Poi adesso con i social si può fare. Coi i social io ho cominciato per scherzo, vedevo questi ragazzini sempre con il cellulare in mano. Poi ho scoperto Instagram e sono diventato uguale. A volte faccio sorprese ai miei fans con i social, in passato ho fatto di tutto, adesso mi sono un po’ calmato».

Se ti potessi dire e La verità sono il preludio del questo nuovo singolo Siamo qui?
«Questo album è la conclusione di un discorso partito con “La verità”. Mi sono divertito a parlare della verità di tutti. Ognuno ha la sua opinione ma non è una verità assoluta. Si pensa che si possa avere solo una opinione. Invece non è così, io su un argomento ho anche due o tre opinioni. La verità è una cosa diversa. “Se ti potessi dire” è una canzone a cui tengo molto, una verità che viene dal cuore. Io mi sono proprio spogliato, ho attraversato l’inferno della mente che è un inferno che esiste veramente. E io lo frequento. Le mie canzoni nascono da lì, dalle frequentazioni della mia mente. Viaggio molto nella mia testa».

Alcuni dicono che le canzoni di Vasco sono per le persone un po’ stropicciate dalla vita. Tu hai sempre messo nelle canzoni un senso di inclusività, per non far mai sentire le persone sole.
«L’ho fatto da subito, ho scritto “Siamo solo noi” e rivendico di essere stato un ragazzo di quel tipo. Poi sono cresciuto, siamo cresciuti ma siamo ancora noi, siamo sempre quelli. Siamo stati soli ma siamo noi, e adesso siamo qui…pieni di guai».

Siamo solo noi è l’inno di una generazione, di un intero pezzo di Italia e quest’anno compie 40 anni. “Generazione di sconvolti che non ha più santi nè eroi”: come ti è venuta questa frase?
«Tutti secondo me attraversano un periodo del genere, si sentono spaesati. Questa frase è riferita anche agli anni ‘70, c’erano un sacco di ideali e si pensava di poter cambiare il mondo. Quando io ho scritto la canzone avevo già capito che non era così. La cosa importante è lavorare su sè stessi. Cambiare sè stessi significa cambiare il mondo. Poi tutto arriva. Credo in questo più che nelle rivoluzioni. Già ai tempi, quelli che facevano le rivoluzioni poi andavano a scuola con i soldi dei genitori. Erano dei rivoluzionari da salotto, si divertivano più che altro. Non pensavo invece di arrivare a vedere, oggi, persone che credono di essere dei rivoluzionari, invece sono solo ridicoli. Rivoltano le parole in un modo incredibile. La libertà non è fare quello che ti pare, la libertà ha un senso solo se è all’interno di un limite. Una generazione di giovani è morta per avere la libertà di parola, non per avere la libertà di insulto. Se ti rifugi dietro un nickname per dire quello che pensi non sei libero, è il contrario della democrazia».

C’è molto anche di questo tema nell’album, si parla anche di ignoranza.
«Non pensavo si arrivasse a questa valanga di ignoranza. Non è un problema essere ignoranti, il problema vero è essere orgogliosi di essere ignoranti. Diventa pericoloso».

La copertina dell’album, diversa in base ai supporti, ha come elemento comune un immenso cerchio, un simbolo giapponese che si chiama “enso”.
«È un simbolo di forza, all’interno del quale ti senti al sicuro, è una comfort zone. Questo è un album rock, suonato con strumenti veri, una cosa contraria a ciò che avviene oggi. È un album fatto apposta per essere suonato dal vivo. Pare che adesso si possa fare in tranquillità. Io voglio andare in giro per l’Italia a cantare e non fermarmi più».

Nato a Lavagna (GE) il 26 luglio 1970, nel giorno in cui si sposano Albano e Romina, dopo un diploma in ragioneria ed una laurea in economia e commercio, inizio una brillante (si fa per dire) carriera come assistente amministrativo nelle segreterie scolastiche della provincia di Genova e, contemporaneamente, divorato dalla passione del giornalismo, porto avanti una lunga collaborazione con l’emittente chiavarese Radio Aldebaran, iniziata nel 2000 e che prosegue tuttora. Per 15 anni ho collaborato anche con il quotidiano genovese Corriere Mercantile. Dal 2008 e fino alla sua chiusura ho curato il blog Atuttovasco.

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