France
di Bruno Dumont
con Léa Seydoux, Blanche Gardin, Benjamin Biolay, Emanuele Arioli, Juliane Köhler
France è una giornalista, stella della tv, quando va alle conferenze stampa di Macron si mette in prima fila, si mette in vista, si mette spudoratamente a fare domande imbarazzanti per avere rilievo mediatico, ridacchia e fa gesti da teenager. Quando va sui campi di battaglia del Medio Oriente si mette il casco, si mette in posa, dirige e modella militanti e militari come comparse. Quando va in onda da studio divora i suoi ospiti oppure crea commozioni su misura. Vive in una casa da super ricchi alla moda che sembra un set da film di vampiri con un marito fantasma, scrittore, e un figlio che sparisce nello sfondo. Usa un trucco per il viso e abiti (di grandissima firma) che la fanno sembrare una maschera da teatro giapponese. Poi un giorno a bassa velocità tampona un fattorino e si squaglia: la sua vita interiore ed esteriore si sciolgono in lacrime. Vere? Forse sì. Dall’Olimpo degli dei all’inferno dei reietti. False? France vuole risorgere dalle sue ceneri? France è un film -l’hanno anche definito disturbante- del disturbante Bruno Dumont. Quello che France fa è secondario, non c’è quasi una trama, o sarebbe irrilevante: disturbante è il modo in cui Dumont costruisce il film addosso a Lea Seydoux schiacciandola nella ripetitività. È come vedere un quadro disfarsi sotto i nostri occhi per motivi non chiari. France è un film metafisico. Immaginate che la storia si intitoli Italia e la protagonista si chiami Italia, e il tutto si svolga in Italia, e lasciate il resto quasi identico. Capito? Sì, è un film politico.
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