Su sceneggiatura di François Truffaut
Michel (Jean Paul Belmondo), un piccolo ladro di automobili che però ha ucciso un poliziotto, ha una breve e tormentata storia d’amore a Parigi con Patricia (Jean Seberg), una bella studentessa americana. Il piccolo gangster vorrebbe convincerla a fuggire con lui in Italia, ma la donna stanca della relazione lo denuncia e presto Michel sarà ucciso dalla polizia. Ritratto di un disordine generazionale votato alla sconfitta, il film è caratterizzato da un montaggio nevrotico con brusche rotture (una vera sfida alle tradizioni della sintassi cinematografica), l’uso di una macchina da presa molto mobile e le inquadrature anticonformiste, fanno della pellicola il manifesto per eccellenza del cinema francese. Detestato, amato, odiato e discusso, Jean-Luc Godard è riconosciuto universalmente come uno dei più grandi autori del cinema degli anni Sessanta e Settanta, colui che costringe Belmondo a guardare dentro la cinepresa, contro tutte le regole dell’arte cinematografica. “Non mi piace proprio dover raccontare una storia- ha sempre affermato il regista- preferisco una specie di arazzo, uno sfondo sul quale poter intessere le mie idee”. Girato in pochi giorni per le strade parigine e con un budget molto povero, Fino all’ultimo respiro è ancora oggi capace di emozionarci e stupirci dopo sessanta anni anche per la sua forza eversiva rimasta intatta.