Fino a oggi si poteva correttamente ritenere che l’altro Battiato fosse quello delle collaborazioni più o meno estemporanee. Citiamo, fra le meno note, le sette canzoni composte nel 1972 per l’album Area di servizio di Genco Puro & Co. ovvero Riccardo Rolli (per lo più pezzi del periodo pre-debutto, quando si esibiva nelle balere e in improbabili gruppi beat) oppure quando si firmava Astra, nel 1978, per incidere Adieu dai sapori neo pop, che poi darà a Catherine Spaak e rielaborerà per Milva con il titolo Una storia inventata più di dieci anni dopo. Ancora lo ricordiamo nel 1973 con lo pseudonimo Springfield incidere Love, un melenso pezullo pop, oppure un anno dopo (non) firmare il lato B – quello A era di Roberto Vecchioni – del 45 giri di un meteorico William, pupillo di Roberto Cacciapaglia. E ci sarebbero ancora la canzone scritta per gli Osage Tribe, Hajewnhanhowa, quella per i Capsicum Red del periodo pre-Pooh di Red Canzian, Tarzan, persino La filovia, scritta per l’ineffabile Donatella Moretti, cantante poi diventata una Antonella Clerici ante litteram dietro i fornelli tv. Senza dire delle “preghiere” incise per il circuito degli Hare Krishna, il cui credo praticava anche Battiato.
Sono innanzitutto queste composizioni dimenticate e semisconosciute che uno si aspetterebbe veder commentate e analizzate in un libro intitolato Fenomenologia dell’altro Battiato. Invece non è così. Mario Bonanno, giornalista specializzato in saggi sulla canzone d’autore, da Stefano Rosso a Claudio Lolli, da Giorgio Gaber a Roberto Vecchioni, da Fabrizio de André a Pierangelo Bertoli, ne accenna appena. Cita la deliziosa Oppio portata dalla desaparecida Sibilla a Sanremo 1983 senza nessun riscontro, la Moretti, gli Osage Tribe, ovviamente Alfredo Cohen (per lui Battiato scrisse Valery, diventata poi la celebre Alexanderplatz di Milva, e la bella dedica alla città eterna Roma), anche la Dormirai canterai ballerò del duo Farida/Michele Pecora, per finire con “il gineceo stellare Alice-Mina-Giuni Russo”, dove il refuso è evidente, dato che la “tigre di Cremona” con Battiato non ci azzecca per nulla, mentre trattasi della “pantera di Goro”. Tutto en passant, compresa la fondamentale collaborazione con Juri Camisasca.
Fenomenologia dell’altro Battiato (Compagnia Nuove Indye, pgg. 164, € 20), che avrebbe meritato un titolo differente anche perché esiste un’altra Fenomenologia di Battiato, libro del 2010 di Enzo Di Mauro, è un ricco approfondimento della carriera “normale” di Franco, all’anagrafe Francesco (vuolsi contratto da Gaber, che lo prese per primo sotto la sua protezione, offrendogli il ruolo di chitarrista della band di sua moglie Ombretta Colli), punteggiato da mille citazioni tratte da articoli e libri e intervallato dalle interviste allo stesso cantautore e ai tastieristi Filippo Destrieri e Gianfranco D’Adda, a lungo al suo fianco, e da un ricordo del partner storico Giusto Pio. Un approfondimento che punta a spezzare il capello sulla capacità di provocazione di Battiato contro il conformismo, l’appiattimento valoriale, lo scadimento della musica e la stupidità. E ci propone il “post-cantautore negli anni dei cantautori, anti-marxista negli anni in cui era di moda dirsi marxisti, convinto creazionista al prezzo dell’impopolarità. Franco Battiato si presenta ab origine come battitore libero, adeso a sé stesso, finanche alle proprie incoerenze.” Ne analizza “l’integralismo della sua ontologia libertaria” – vi lasciamo il piacere di cercarne il significato – e il periodo dell’impegno politico, brevissimo e terminato con una dichiarazione infelice, il radicalismo sui generis (probabilmente sta in questa prospettiva l’intenzione di definire l’altro Battiato, quello “sottratto all’esclusiva vulgata trascendente”, del titolo) e l’artista che propose album pieni di contenuti e insieme destinati alle vette delle classifiche.
Il risultato è molto interessante, anche se la scrittura è quella che avete potuto capire dalle brevi citazioni sopraesposte e il succedersi dei capitoli è quello di un instant book, come l’autore proprio non vorrebbe, ma, si sa, excusatio non petita accusatio manifesta.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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