Perché si può sfottere l’Italia all’estero? I Måneskin e la polemica sugli spaghetti

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«Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno!». La scena cult di Un americano a Roma, filmone con Alberto Sordi, è stata riprodotta quasi fedelmente agli American Music Awards per presentare i Måneskin (che perdono la menzione ai Grammy, ma guadagnano altre ospitate). La band de Roma, ospite (la scorsa domenica) sul palco della Città degli Angeli, negli intenti sfanculerebbe proprio gli stereotipi italiani. Invece Cardi B, rapper d’oltreoceano in veste di novella conduttrice, li ha introdotti sul palco del Microsoft Theatre con un siparietto tutt’altro che elegante, seduta a un tavolino di una trattoria con tovaglia a scacchi rossa e bianca, intenta a gustarsi un bel piatto di spaghetti e polpette (come unica pietanza), fiasco di vino alla mano e violinello sullo sfondo (al posto dell’abusato mandolino d’ordinanza). Mancava solo la pizza, il caffè e qualcuno a impersonare la malavita organizzata (con tanto di coppola e lupara), ed eccovi serviti gli abituali cliché triti e ritriti che da quelle parti piace tanto attribuire alla nostra patria. Un’immagine più stereotipata di così non potevano pensarla, e pure alquanto inverosimile, a cominciare da quel piatto di pasta e “purpette” che in Italia non si mangia quasi mai, cibo più americano che nostrano, in verità (spaghetti meatballs), e che farebbe incazzare più di una nonna e mamma nel sacro regno della cucina italica. Ebbene sì, amici a stelle e strisce, la nostra cucina proprio non si batte, avoja a cercare di imitarla, non ce n’è manco per i cugini d’oltralpe, che pure se la cavano, figuriamoci per gli altri. Sulla questione è intervenuto qualche giorno fa pure Lapo Elkann, in un botta e risposta a distanza con la cantante: «Sveglia, Cardi B. L’Italia non è solo spaghetti e vino, è molto molto di più. L’Italia è bellezza, cultura, Leonardo, la Ferrari, l’opera. Per questo, prima di presentare artisti italiani, per favore studia e preparati. È triste usare degli stereotipi per parlare dei Måneskin». Ad avere la meglio è proprio il nostro rappresentante, con conseguente fuggi fuggi della singer “ammericana”, che cancella pure la sua replica: «Mi vuoi fare un’intera lezione su uno spettacolo di premi? Avrei dovuto forse portare una Ferrari sul palco? – ha ironizzato lei – Ho fatto delle battute anche sulla mia città natale. Le persone vogliono sentirsi indignate senza motivo, in nessun modo stavo cercando di essere offensiva». L’ultimo sigillo, pure di classe, è sempre dell’imprenditore: «Combatti contro il razzismo e gli stereotipi sulle minoranze, è una cosa grandiosa e hai il mio rispetto. Ma alimentare stereotipi sugli altri va contro i valori che cerchi di condividere con i tuoi fan. Tutto qui. Tu e la tua famiglia siete i benvenuti in Italia, sarei felice di ospitarvi nel Bel Paese».

Diciamolo, fissarsi sui soliti sketch ammuffiti, quando si parla del tricolore, ha proprio rotto le scatole. Eh sì che solo una settimana fa Lady Gaga era ospite da Fazio, e mica l’abbiamo accolta con hamburger e baby gang con pistola in mano, e daje. No, non è un fatto di suscettibilità, siamo orgogliosi di essere un Paese che è proprio uno sputo nel mondo eppure così invidiato. In fondo si fa presto a proclamarsi paladini d’un paio di minoranze, senza crearsi problemi nel perculare chi nell’ottica generale sarà provocato in ogni caso. Come se gli italiani non avessero una storia da insegnare, arte, moda, cultura e bellezza da esportare, pure più di altri. Quindi sì, americani cari, continuate pure con questo sottile razzismo da quattro soldi, se vi piace tanto, raffigurateci ancora con gli spaghetti a tavola. Va detto però che montare l’affaire italienne sarebbe altra opera ingrata, visto che gli statunitensi hanno il vizio delle disparità di classe in senso lato, a partire da quel muro che separa da trent’anni il Messico dal sogno americano, come due facce di un’America che nemmanco si guarda, senza tralasciare le prese per il culo nei confronti di ebrei, nativi indiani e quant’altro. Così si rimpinza la querelle, dagli States alla Francia, nello stabilire chi ce l’ha più lungo, il prestigio e il vanto, con schemi di sfottò indirizzati solo a certi Paesi, che non cambieranno mica di punto in bianco, anche se sei la band dell’anno.

 

 

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