Diabolik
di Marco e Antonio Manetti
con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Claudia Gerini, Vanessa Scalera
L’ispirazione viene dalla terza storia del fumetto delle sorelle Giussani, L’arresto di Diabolik, la prima in cui compare Eva Kant, scocca la scintilla e il re del terrore in tutina nera si mette a delinquere in coppia. Il Diabolik di Marinelli sembra quello del fumetto, l’Eva Kant della Leone pure, l’ispettore Ginko di Mastandrea anche, le auto sono giuste, le case, le strade, i vestiti proprio quelli di Clerville, i mobili perfetti, un trionfo del vintage. E allora, che cosa non va? Che forse per un malcelato rispetto del mood del fumetto, anche i personaggi sembrano mobilio vintage spostato con fatica, e i dialoghi e i movimenti sembrano rallentati: un film in cui tutti hanno le scarpe incollate al pavimento per rispetto delle tavole disegnate. Forse c’è un destino ineluttabile per questo fumetto: ogni volta che lo si avvicina (nel ’68 Mario Bava tentò un Diabolik pop, op e quasi Bond, soprattutto grazie all’icona Adolfo Celi) lo si perde. Francamente Diabolik, Eva e Ginko sembrano intenti a rappresentare una rappresentazione di Diabolik, con un occhio al pubblico dei filologi. Perché filologicamente il fumetto era proprio così, algido, un po’ meccanico, spesso a rischio noia. Qui la noia, ahimé si infiltra e ne uccide più della lama di Diabolik, che con tutta questa freddezza filologica sfiora l’autoparodia. Spiace, soprattutto per tutti quelli che se lo son fatto piacere prima ancora di vederlo.
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