Proponiamo agli amanti del jazz più vivo e moderno un’altra carrellata di quattro proposte italiane di alto livello. Insieme rappresentano come – repetita iuvant – il sound afroamericano di casa nostra abbia raggiunto livelli di eccellenza a volte apprezzati più all’estero che in patria.

Giorgio Ferrera Trio

Giorgio Ferrera Trio
When A New Day Comes (Alfa Projects/Egea)
voto: 8

Scrive Giorgio Ferrera: “When A New Day Comes è il racconto di un giorno qualunque. È la luce che giunge piano, l’alba che arriva dopo una lunga e profonda notte; è la quotidianità, un proposito che prende forma, una notizia insperata, una telefonata inattesa. È il carico di aspettative e incertezze proprie della nostra esistenza”.
Il pianista aretino, classe 1977, di formazione classica (ambito in cui ha operato sia in veste solistica che in formazioni cameristiche), giunge al suo quarto esito da leader in trio con i ritmi Alessandro Del Signore, contrabbassista preciso e corposo, e Pierluigi Tomassetti, batterista stimolante, persino incalzante a volte. A più di dieci anni dall’inizio della collaborazione – il loro riuscito cd Winterreise è del 2011 – il trio mostra una crescita lineare e intensa, cui non sono stati certo ininfluenti i numerosi concerti tenuti, sia insieme sia con altre formazioni, in giro per l’Italia e negli USA, in Canada, in Spagna, in Scandinavia.
Questo album, rispetto al precedente più dinamico e deciso, corre sul filo del racconto e del sentimento. I dieci brani, nove a firma di Ferrera, nonostante la scrittura diluita nel tempo, seguono linee espressive che sanno essere unitarie e discorsive, comprese nella forbice tra i passaggi più agitati, si potrebbe dire temporaleschi, di Utopia a quelli ambiguamente rasserenanti di Black Hole Sun dei rocker Soundgarden, l’unica cover. E sviluppano un percorso sinuoso e variegato, che ha come riferimenti le lezioni di Brad Mehldau e degli EST e che sa essere lirico come un volo di rondini nell’iniziale title track e zampillante come un ruscello tra i fiori in A Different Point Of Views. Comunque durante una giornata sempre fresca e primaverile.

Letizia Lucchesi

Letizia Lucchesi
It’s A Miracle Your Life (AlfaMusic/Egea)
Voto: 7/8

La cantante romana, diplomata in contrabbasso, laureata in legge e valente illustratrice, vanta un lungo curriculum. Sia di strumentista in varie big band e piccoli ensemble, ancora di più come vocalist, con i migliori jazzisti italiani, l’Orchestra Federico II di Svevia e nel campo della musica contemporanea e perfino dell’operistica, sia come compositrice di brani jazz e di sonorizzazioni per spettacoli teatrali, sia infine come didatta. Un itinerario pieno di contenuti che ben si evidenziano, di volta in volta, in questo suo debutto da leader, dedicato a Chick Corea, uno dei suoi musicisti di riferimento.
Proprio del pianista scomparso poco più di un anno fa è High Wire, il brano che apre alla grande il cd, grazie anche al contributo dei fiatisti della Roma Jazz Ensemble Big Band, che mette perfettamente a suo agio Lucchesi, in quella dimensione mainstream che ha praticato per lunghi anni. Ancora con il grande ensemble sono Blues For Me e Portrait Of You, che parlano di nostalgia e ricordo, entrambi – come altri sei degli 11 brani – firmati dalla protagonista, la cui voce è ricca e piena, sa immergersi in dimensioni differenti e affascina per la sua presenza propulsiva e la leggerezza nel declinare lo scat.
Il trio con Pino e Pietro Jodice a piano e batteria e con Luca Pirozzi al contrabbasso rimane ad accompagnare la vocalist nelle altre performance, che vedono anche il contributo del sassofonista ospite Maurizio Giammarco (eccellente in Angel). L’interplay è elegante, a tratti raffinato, con una voce che non si fa mai “proteggere” e con musicisti che danno l’impressione di sapere in anticipo quello che succederà ma di non curarsene troppo pur di dire la propria con classe. Merito anche delle composizioni, tutte in inglese ad eccezione della cover di Meninas del brasiliano Ivan Lins, che parlano d’amore, illusione, amicizia, gioia, autocoscienza e ricerca della luce (in See The Light, che ci offre un duetto tra Lucchesi e l’altra cantante Cinzia Tedesco).

Dino Rubino, Marco Bardoscia, Piero Delle Monache, Daniele Di Bonaventura – foto di Stefano Bechini

Dino Rubino
Gesuè (Tuk Music)
Voto: 8/9

Dopo gli album in cui si esprimeva come trombettista e flicornista, sia a fianco di Francesco Cafiso che di Paolo Fresu, Dino Rubino decide di mostrare a tutti il suo estro di pianista cresciuto a pane e Debussy, acqua e Jarrett. Lo fa con un quartetto drumless, affiancato dalla vitalità del bandoneon di Daniele Di Bonaventura, la profondità del sassofono di Piero Delle Monache e l’eclettismo del contrabbasso di Marco Bardoscia, partner di lunga data. Il risultato è questo Gesuè, che porta il nome di suo padre, cui è dedicato.
Un album prezioso, di squisita fattura qualitativa, che propone non solo sfumature ma anche possibili interpretazioni nuove a ogni ascolto. Un cd che non stanca, suggerisce piuttosto che esprimere, evoca piuttosto che celebrare, giocato, come si direbbe se ci fosse un batterista, magari alla Paul Motian, in punta di bacchette.
Dal 1998, quando venne premiato come miglior talento emergente al Massimo Urbani, la sua ascesa è stata continua, tanto da farlo esibire sui palchi di mezzo mondo e da portarlo a una maturità da tempo consacrata. Lo dimostrano appieno brani come l’apertura Pollara, in un intreccio flemmatico di nostalgie dal sapore popolare, e Kaleidoscopic Moon, perfettamente riassunto dal titolo, come il delicato Le piccole cose al solo pianoforte e il lentissimo Figarò con gli strumenti che ricordano gli orologi “sciolti” di Salvador Dalì, come il vibrante Diego con un propulsivo assolo del leader e il cantabile Far Away con il sassofono protagonista, come la lieve title track che ha il feeling delle colonne sonore a firma Trovajoli e la conclusiva, dilatata riproposta della Un giorno come un altro di Luigi Tenco.
Il 41enne siciliano annuncia la presentazione del disco al prossimo Umbria Jazz di luglio, cui seguiranno le registrazioni di un nuovo lavoro con Bardoscia e il batterista Stefano Bagnoli e l’uscita di quello dedicato a Lawrence Ferlinghetti, in quartetto con gli stessi partner ad eccezione di Delle Monache sostituito da Fresu, titolare del cd.

Three Peaks

Three Peaks
At First We Arrived (AlfaMusic/Egea)
Voto: 7/8

Il trio Three Peaks è formato dalla giovane coppia ritmica romana, Cesare Mangiocavallo e Alessandro Bintzios, cui si somma, in questo cd di debutto il chitarrista Luca Giannini, che però in concerto è avvicendato dai colleghi Simone Sansonetti oppure Antonio Floris. At First We Arrived è un ottimo biglietto da visita, una presentazione di livello, che Roberto Gatto definisce: “un lavoro visionario che, seppure si muova in un versante in cui l’improvvisazione gioca un ruolo molto importante, mette in evidenza influenze progressive, electronic music, rock e contemporary jazz. Qualcosa di decisamente interessante, fresco e coraggioso.”
Non si può non essere d’accordo con il veterano batterista, che fra l’altro è stato tra i docenti di Mangiocavallo, il più giovane dell’ensemble, impegnato anche ai synth e ai sample e autore di sei dei nove brani qui raccolti. I portati dei tre sono quelli della generazione nata dopo gli ultimi anni 90, sì dimentica delle narrazioni mainstream del jazz – ovvero quelle hard bop – ma insieme capace di leggere la lezione rock-jazz di post-davisiana memoria in una direzione profonda, multicolore, digitale e per nulla fusion, di coniugare le variazioni sonore delle incursioni plurisettoriali alla John Scofield (un riferimento chiaro per Giannini) in un dogma interiore, di fare del flusso sonoro electro che i grandi Radiohead hanno sviluppato nel pop un plus ispiratore del nuovo jazz. Difficile definire in pochi cenni le singole tracce, tanto sono piene di frammenti provenienti da diverse visuali sonore, tanto sono affastellate di idee e di assolo, tanto sono insieme fragili nelle loro traiettorie spezzettate e frastagliate. A parte la conclusiva Arrival, una suite in tre parti, che riassume ed elabora in oltre 11 minuti tutti gli spunti dell’album.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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