La notizia è dei primi di marzo. A Natsu, in Giappone, è stata trovata frantumata la pietra nera che, secondo la leggenda, racchiudeva la Volpe a nove code. Nulla a che vedere con il gatto strumento di tortura da noi, si tratta invece del “mostro” forse più spaventoso della tradizione del Paese del Sol Levante. Un Lucifero terribile in grado di assumere le sembianze di chiunque pur di raggiungere i suoi malefici scopi. Solo un mago di corte, quando si trasformò in un bellissima donna per cercare di uccidere l’imperatore, riuscì a intercettarla e a imprigionarla, un migliaio di anni fa, nella cosiddetta “Pietra della morte”. La frattura riscontrata (oltre a distruggere una delle principali attrazioni turistiche della località) ha nuovamente liberato lo spirito maligno, da cui dobbiamo attenderci prossime, grandi sventure. Come non ne avessimo a sufficienza di quelle che già stiamo vivendo.
La storia del demone mutaforma è una delle infinite leggende e narrazioni che sono tipiche del folklore giapponese e che sono state illustrate dai più grandi disegnatori della stagione dell’ukiyoe, una sorta di “edonismo edoniano” (con l’edoné, il “piacere” degli antichi greci, coniugato con il nome della capitale degli shogun – i governanti nel nome dell’imperatore – della famiglia Tokugawa, Edo, ai tempi con Londra la città più popolosa del mondo) che celebrava il divertimento di una borghesia sempre più ricca e influente. Siamo alla fine del XVII secolo e all’inizio di un lungo periodo, circa due secoli, di pace e prosperità, che aprirà le porte dell’Oriente anche alle nazioni europee, ai commerci e alle reciproche influenze.

Katsushika Hokusai – Raiko e il ragno di terra – 1849

E come sempre sono i prodotti preziosi i primi ad arrivare in Occidente, in particolare le magnifiche ceramiche, quelle smaltate di Arita oppure quelle nabeshima destinate ai soli maggiorenti o ancora quelle arancioni in stile ko-imari, tutte avvolte in carta strappata dalle pubblicazioni a maggiore diffusione sul territorio giapponese, i libri stampati. Proprio l’attenzione che alcuni rivolsero a quei fogli utilizzati per impacchettare fece nascere la passione per stampe e libri di illustrazioni, che influenzarono anche gli impressionisti.
Il mercato era fiorentissimo e gli artisti più impegnati vere e proprie star, anche se era agli editori che spettava sempre l’ultima parola sulla pubblicazione di ogni disegno. Disegni che venivano riprodotti, grazie a una tecnica innovativa di incisione su legno, in migliaia di copie da appendere oppure come cartoline, calendari, ventagli, diffuse a gran parte della popolazione, non più solamente a chi poteva permettersi i lunghi rotoli oppure i ricchi paraventi. Proponevano un flusso infinito di soggetti (flora, fauna, natura e vita quotidiana, fantasia e sogno: di tutto), rappresentati con una raffinatezza assoluta, una cura maniacale del particolare, un’attenzione all’equilibrio delle tavole unica, tagli prospettici che anticipano le più ardite fotografie. Tra i più caratteristici e amati furono i libri che offrivano le avventure delle jorogumo, enormi ragni che si presentano in forma di donne meravigliose, dei mostruosi gatti bakeneko, delle sirene ningyo che possono dare la giovinezza oppure la morte, dei centopiedi giganti velenosi omukade o delle volpi infernali kitsune, delle quali la più pericolosa è quella appena “evasa” a Nitsu.

Kuniyoshi Utagawa – Omori Hikoshiki e la principessa Oni – 1830 circa

Esempi importanti di questa tipologia di xilografie, insieme a libri antichi, armi, abiti, spade, un’armatura da samurai, uno splendido rotolo, specchi in bronzo, piatti in una lega di stagno e rame, chine su carta di gelso, maschere del teatro del noh, sono proposte alla Villa Reale di Monza, nella mostra Yōkay – Le antiche stampe dei mostri giapponesi, aperta fino al prossimo 21 agosto. Il percorso, punteggiato da cartelloni che riportano numerose leggende, è chiuso dalla prima esposizione in assoluto dei 77 netsuke della collezione Bertocchi, piccoli contenitori o statuette non più alte di 7, 8 centimetri in legno lucidato oppure avorio, decorati a china, che raffigurano bonzi, samurai, shoki e altre divinità, maschere, tengu (creature fantastiche), fino ad arrivare a meccanismi ad effetto, sorprendente oppure erotico. Ed è aperto dalla sala immersiva che riporta lo spettatore, fin quasi al buio, “dentro” il Rituale delle cento candele, leggendaria prova di coraggio, durante la quale un manipolo di samurai (che la inventarono per riempire le notti dei periodi di pace, poi venne ripresa dal resto della popolazione) si riuniva per narrare 100 storie atte a instillare la paura, mentre le candele, unica fonte di luce, si spegnevano a ogni racconto.

Netsuke con due artigiani intenti a creare una maschera da Tengu – seconda metà XIX secolo

Le opere esposte vantano firme prestigiose, a cominciare da Katsushika Hokusai (1760-1849), il maestro dei paesaggi. Dell’autore de La grande onda, una delle icone della pittura di ogni tempo, è proposta, fra l’altro, una rarissima prima edizione del 14esimo quaderno manga, un libretto pubblicato quando i commerci della seta e della ceramica erano terminati e che quindi non arrivò ai collezionisti europei, i soli a conservarli poiché in Giappone venivano buttati. Poi i vari yōkay (mostri), bakemono (mutaforma) e yurei (spettri) sono raffigurati, insieme agli eroi con cui combattono o si rapportano, da maestri quali Kuniyoshi Utagawa (1798-1861), suo il celebre trittico La principessa strega Takiyasha e lo scheletro del padre, Chikanobu Yoshu (1838-1912), attento anche alla tensione psicologica, Kyosai Kawanabe (1831-1889), specializzato in situazioni grottesche, Utagawa Kunisada (1786-1865), aggraziato disegnatore di protagoniste tragiche, Tsukiyoka Yoshitoshi (1839-1892), il più sanguinoso, e Hiroshige Utagawa (1797-1858), eccezionale naturista.
Sempre secondo l’ottica ben descritta dal curatore Paolo Linetti: «Il mostro non viene ucciso, come succede in Occidente, per esaltare l’eroe. In Giappone il mostro rimane vivo, per continuare a far crescere paura in chi ne ascolta la storia, perché la paura è considerata positiva, catartica.»

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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