Conosco, ascolto e apprezzo Erica Boschiero da molti anni, e questo è il motivo per cui, quando l’anno scorso mi chiese di scriverle qualche riga per il suo nuovo album, dissi subito di si, e dopo avere ascoltato “Respira”, mi venne quasi di getto ciò che leggete ora:
“Noi siamo il nostro respiro, come l’acqua per un pesce. L’aria è come la musica: quanto di più vicino possiamo trovare allo spirito, invisibile, onnipresente, condiviso, vitale. Quando ci manca l’anima l’ultimo respiro è ciò che lasciamo, l’ultima traccia, l’ultimo segno del nostro passaggio, e del ritorno alla terra, su cui siamo apparsi con l’aria che inondava finalmente i polmoni di vita.
Erica Boschiero canta il respiro della terra, che è poi anche il nostro. Canta (e suona) con una delicatezza e una leggerezza che è di pochi, volando con le sue parole lungo aliti di vento, quelli che, si sa, portano con sè le risposte che contano.
L’ho incontrata anni fa, quasi per caso, con tante cose da dire e un ottimo modo di dirle, innamorata degli altri, delle piccole cose e dello stare insieme, facendo musica.
Erica appartiene all’ultima generazione della canzone d’autore veneta, quella solidale, che si confronta, collabora, si aiuta, sa guardare lontano ma anche alle tradizioni, alle storie antiche, e che ha imparato che se le cose si fanno difficili, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare più duro per fare meglio e di più, da ragazza delle Alpi con il nome di un fiore, sempre con lo sguardo all’orizzonte tutto intorno.
Quest’ultimo lavoro ne segue altri, tutti differenti e con una propria personalità, e va un altro passo oltre, con altri amici, compagni di viaggio.
Sono canzoni fatte a mano, antiche e modernissime, con la sua chitarra arpeggiata che non è mai soverchiata da pur numerosi strumenti, sonorità, effetti di natura, arrangiati in punta di dita, con rispetto reciproco e obiettivo comune, mai invadenti, mai inutili. Nascono dall’ascolto, dalla lettura, dall’osservazione, dalla sensazione, delicate come un fuoco che scalda senza bruciare, e raccontano di persone e di vita, attraverso le metafore della natura, riuscendo a racchiudere la magia dell’incontro e dell’amore in “quella linea che hai tracciato sulla mappa e in quella mappa è capitato fossi anch’io” e trasferendo emozioni, che non sono solo quelle che ti tolgono il respiro, ma anche quelle che te lo restituiscono, con la delicatezza della risacca del mare, della brezza fra le frasche. Ed è bello perdersi in questo alito di vento”.
Mi fa molto piacere vedere che l’album è entrato nella cinquina del Premio Tenco come miglior album del 2021. Erica se lo merita, non solo perché, al solito ha prodotto un disco eccellente, l’ennesimo, ma perché da oltre dieci anni produce cose splendide per sé e con altri, dando vita a quella che un tempo si sarebbe chiamata “scuola veneta” e che di fatto raggruppa diversi musicisti, autori, interpreti, da soli o in gruppo, provenienti in genere dall’area di Treviso, Venezia, Belluno, che hanno imparato ad ascoltarsi, apprezzarsi, sostenersi, aiutarsi e sopravvivere oggi che è sempre più difficile per la nuova canzone d’autore trovare spazi.
Erica compensa le difficoltà del proporre musica con sempre nuovi progetti, dalla collaborazione antica con il poeta belumàt Gianni Secco, purtroppo scomparso due anni fa, a progetti sui canti delle Dolomiti, a recuperi della tradizione musicale veneta, a riletture in musica e teatro delle poesie di Andrea Zanzotto, a lavori con artisti dell’immagine, o progetti estemporanei a fini sociali, o di sostegno ad Amnesty, e naturalmente da sola o in buona compagnia sui palchi grandi o piccoli dove la musica si ascolta, e perfino dal divano di casa, per non essere assente in tempi di covid e isolamento.
Cadorina di nascita, trevigiana di adozione, vincitrice di quasi ogni concorso di canzone d’autore a cui ha partecipato, dal d’Aponte a Musicaltura, Erica ha nascosto in questo disco temi importanti trattati con molta eleganza e grazia, collaborazioni interessanti e una eccellente resa musicale curata da Sergio Marchesini, che va sottolineata.
Mi piaceva parlarvene. E incuriosirvi un po’.
Giò Alajmo
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