Uno dei suoi film più popolari, L’armata Brancaleone del 1966, fu per lei un vero calvario. Lo confessò solo due anni fa, supportando con le sue parole l’onda Me Too anche in Italia. «Sul set eravamo poche donne, per il resto erano solo uomini e tutti attori importanti. Non parlavo ancora bene l’italiano e quando arrivavo sul luogo delle riprese mi prendevano in giro e mi apostrofavano in maniera pesante. Facevano di tutto per mettermi in imbarazzo e mi sentivo fuori luogo, angosciata.» Ed episodi simili le successero per molto tempo, dalle avance immediate di Ugo Tognazzi, che la scaraventò fuori dalla sua auto per non averle accettate, a quelle più recenti di un “potente” della Fininvest, che la portarono, rifiutate, a essere estromessa dalla conduzione di Forum.
Eppure Catherine Spaak, figlia di uno sceneggiatore e di un’attrice, nonché nipote di uno dei più importanti politici del suo Paese, era già a metà anni 60 un’interprete richiesta e affermata. Aveva debuttato in Francia con Il buco (Le Trou) di Jacques Brecker, girato appena 14enne, e poi fatto scandalo con il suo “lolitismo” da adolescente acqua e sapone in grado di sconvolgere l’esistenza di Tognazzi appunto in La voglia matta di Luciano Salce, di Christian Marquand ne I dolci inganni di Alberto Lattuada, di Gabriele Ferzetti in La calda vita di Florestano Vancini e aveva recitato per Roger Vadim, Dino Risi, Damiano Damiani, Marco Ferreri, Henri Verneuil e altri. Un inizio di carriera sfolgorante che era peraltro già affiancato da un più che promettente exploit come cantante: è del 1963 quello che sarà il suo maggiore successo, il secondo 45 giri Tous les garçons et le filles (Quelli della mia età).

Da allora la ragazza belga-franco-italiana ha sviluppato una poliedrica personalità artistica, che alimentava con una forza interiore forgiata anche da problematiche vissute in prima persona in quel periodo di bigottismo (le tolsero l’affido della prima figlia perché il giudice la considerò “persona immorale” in quanto attrice), e con una personalità diversa dalla norma, che la rese un personaggio unico, affascinante, colto, anticonformista, stimato in tutti i settori in cui ha proposto la sua verve artistica. Sia come attrice – il suo ultimo film è stato La vacanza di Enrico Iannaccone, in cui interpretava da par suo una donna ancora bellissima, un’ex magistrato che inizia a manifestare i primi sintomi di Alzheimer ma con una travolgente voglia di vivere – che come cantante, fino al singolo del 1979 Pasticcio, sia come interprete di serie tv e soprattutto come conduttrice di trasmissioni che fecero epoca come Forum e Harem, sia come giornalista che firmava per alcuni dei giornali più prestigiosi, sia come scrittrice che come interprete (e anche autrice e regista) teatrale.
Per chi voglia saperne di più – e certamente il nostro non è che un sunto limitatissimo dell’attività di Spaak e del suo stile che non di rado l’ha fatta paragonare a una moderna Audrey Hepburn – è uscita da poco una biografia dettagliata, firmata dal giornalista e cultore Fernando Fratarcangeli per i tipi della Compagnia Nuove Indye intitolata Catherine Spaak – Icona del nostro tempo. Un libro agile e documentato, ricco di illustrazioni e di dati, che ci parla di un’artista che “segnò un nuovo modo di essere diva… un punto di ripartenza per il nostro cinema in pieno boom economico… un bel percorso di cantante, il cui esordio venne battezzato da uno dei nostri più importanti e popolari cantautori, Gino Paoli”.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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