È morta Christina Moser. Questo lutto conclude definitivamente l’esperienza del Duo che ha segnato in Italia un passaggio tra la musica di classifica e una visione trasgressiva delle cose della vita.

La Moser insieme al compagno aveva attraversato in musica e non solo, la parabola del pop che da fenomeno ordinario si era poi mutato in evento unico, quando la coppia col nome Krisma aveva scardinato i confini della wave, rappresentando l’Italia in giro per il mondo.

Se Christina era donna esuberante e ricca di invenzione, l’altra metà del gruppo, Maurizio Arcieri, era caso a sé nella musica pop nel nostro Paese.

Un passato beat con i New Dada, una successiva carriera solista improntata ad un pop melodico di riferimento anglosassone, Arcieri a metà dei settanta aveva fondato il Duo con esiti tutto sommato dapprima trascurabili, per poi effettuare ad un certo punto una virata brusca e impensabile. Tale virata rimane ad oggi uno dei più formidabili colpi di mano che si siano fatti nella musica commerciale, dirò concedendomi una semplificazione. Perché Arcieri e Moser mutarono bruscamente, e persino brutalmente, verso una dimensione che diremmo tecno-punk, se le definizioni significassero davvero qualcosa.

Difficile, veramente difficile parlarne, non fosse che i Krisma sono stati davvero qualcosa, e che con la scomparsa fisica dei due creativi, si spengono nel nostro Paese sempre più estesamente le luci su una stagione del pensare attivo in musica come nella vita. Capire in balìa di cosa ci lascino simili dipartite, è ancor più difficile, ma si è portati a temere l’avvento dell’impero della mediocrità.

Ma cosa erano i Krisma? Dimenticando i vari passati avuti dai due protagonisti, ci si deve concentrare sulla svolta avvenuta nel 1976, con Chinese Restaurant. Da lì in avanti, è tutta una progressione di gesti artistici e scenici, coreografici, grafici, degni di nota. I due pare abbiano assorbito il clima di stampo punk e wave che si respirava a Londra, dove registrano il disco sotto la guida dei fratelli Papathanassiou, uno dei quali era Vangelis, il compositore che in seguito passerà alla storia del cinema per colonne sonore mitologiche, come quella di “Blade Runner”, di Ridley Scott. Tale collaborazione, già percepibile tra i solchi del disco, avrà modo di proseguire in seguito.

I Krisma insomma, benché tutto il loro universo avesse un ché di ostentato ed eccessivo, facevano sul serio sin dal principio. Avevano puntato su una straripante energia sensuale mettendola al servizio di un repertorio fatto di un pop obliquo, messo per traverso, di incerta collocazione, diremmo d’avanguardia, ma con soluzioni in cui l’invenzione e lo scontato si mescolano, dando vita all’improvvisa fuoriuscita di un colpo d’artificio che sorregge tutto: questo ed altro potrebbero essere i Krisma del periodo a cavallo tra la fine dei settanta e i fatidici ottanta.

Esclusivi, di culto, eccentrici, debordanti, ostentatamente dissacranti, piacevano dispiascendo.

Basterebbe Lola, il singolo che compare con il primo album, a sparigliare ogni resistenza.

Il pop forgiato anche nei dischi successivi, specialmente Hibernation e Chatode Mamma, è alimentato da pochi brani di buona presa commerciale in mezzo ad una produzione di difficile collocazione.

Arduo definire una carriera costellata di eventi artistici e fortune impensate, tanto quanto lo stesso rapporto con l’intera scena nazionale. Perché i Krisma, benché facessero del loro meglio nell’adottare, riuscendovi, un piglio e un ruolo internazionale, benché cantassero in un inglese più sonoro che letterario, benché fossero abitudinari delle scene londinesi e newyorkesi, erano fondamentalmente una realtà ibrida ma italiana. Erano italiani, molto.

Io condivisi con loro un breve tormentato periodo presso l’etichetta veneta Franton, il cui titolare mi spedì direttamente da Arcieri, nella sua casa milanese, per cercare di trovare con lui quello che a suo modo di vedere avrebbe dovuto essere un accordo per la produzione artistica del disco che io e la mia pioneristica formazione stavamo forgiando (The Fox, 1982). L’aneddoto in sé non conta, quanto il fatto che pure nella mia adolescente e provinciale visione Maurizio mi parve un maturo giovanotto al tempo stesso molto agitato ed ermetico. Sulla possibile produzione non ci capimmo, rividi però entrambi in altra occasione, e ai miei occhi mi tornò l’impressione di un gran caos umano. Nelle sale dell’etichetta si raccontava di uso smodato di stupefacenti e di cifre esagerate messe in campo e gestite allegramente per le realizzazioni del disco allora in cantiere e che di lì a poco, dopo svariate traversie, sarebbe uscito, Nothing to do with the dog.

Visti da vicino ad impressionare era in effetti l’aria da vere star del rock che emanavano in anni in cui fare musica d’avanguardia poteva solo signifcare magre vendite e ben poche vie di arricchimento. Non che in seguito ciò sia cambiato granché, si osserverà, tuttavia occorre riconoscere che taluni individui posseggono il dono di giungere a risultati inattesi e sorprendenti anche in condizioni per altri proibitive.

Io credo che Maurizio Arcieri e Christina Moser avessero quel dono speciale di arrivare dove altri non avrebbero potuto avvicinarsi, e non necessariamente per ragioni diciamo d’arte, ma per un’insolita capacità di coinvolgimento e di fisico trasporto che sapevano suscitare.

In seguito, diversi anni dopo essere diventati una specie di culto della wave, pur non mancando di suscitare anche sentimenti di avversione e addirittura derisione, sedurranno più di una personalità del mondo televisivo e musicale, tra i quali mi piace ricordare in cima a tutti l’amicizia con il mito della critica cinematografica di Rai Tre, Enrico Ghezzi, e quella già precedente con Battiato. Ancora, in età più matura, si distingueranno per gesti intermediali, come la fondazione della televisione satellitare Krisma Tv, che nei primi anni di vita si attesta come una delle più seguite.

Con i Krisma si estingue una attitudine all’invenzione che dalla vita passa alla musica e viceversa, una sorta di aristocratica privilegiata via di liberazione dall’ordinario e dal consueto, dal prevedibile e dal tradizionale. Sono voli che sanno liberarsi per vie misteriose del provincialismo che ci opprime e limita, e che passano anche e soprattutto da esistenze vissute in modo estremo e di puro slancio, incuranti dell’abisso che frigola lì sotto, pronto a fagocitarti al primo passo falso.

Di questo va dato atto alla coppia bella che della stravaganza e dell’azzardo ha fatto un’invenzione destinata a rimanere evento a sé.

See You Later” avrebbe forse detto loro Vangelis, come il titolo di un suo disco al quale nel 1980 i due biondi amanti presero fiera parte.

Bye, Krisma, la vita continua malgrado la musica cambi.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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