Piotta: «Ne “Il primo re(p)” vi racconto il rapper e l’uomo»

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Piotta
foto: Alfredo Villa

Il primo re(p), alle origini del rap italico è il titolo del nuovo libro firmato da TommasoPiottaZanello, disponibile in libreria e negli store online pubblicato da Il Castello, marchio Chinaski Edizioni.

Dopo le precedenti esperienze editoriali con Pioggia che cade, vita che scorre del 2006 e Troppo avanti: come sopravvivere al mondo dello spettacolo del 2008, Piotta torna in libreria con un diario personale e generazionale, dove attraverso la sua storia umana e artistica, ripercorre la nascita della cultura hip-hop in Italia e della sua carriera.

Abbiamo intervistato Piotta per farci raccontare questo nuovo libro e il mondo di cui parla: eccovi il resoconto della nostra chiacchierata.

Leggendo questo libro possiamo entrare un po’ di più nel tuo mondo, artistico e non, e conoscerti meglio. Quello che traspare tra le righe, per citare un brano del tuo primo disco è che “sei sempre quello: prima de Piotta sei Tommaso”.

Penso che nella scrittura in prosa esca molto di più la persona. Nei tre minuti di una canzone non è possibile mettere tutto, quindi magari si riesce a cogliere solo una sfaccettatura dell’insieme.
Un libro, invece, consente una quantità di parole maggiore ma anche una modalità di fruizione diversa. Quindi c’è la possibilità di offrire al lettore un racconto più articolato e con più sfumature.
Quello che esce fuori da questo libro è un racconto a tutto tondo dal punto di vista personale: dalle esperienze fatte da prima di iniziare con la musica fino ad arrivare alla storia più recente, soffermandomi soprattutto sugli esordi.

Una cosa che mi ha colpito è che, nonostante tutti i rapper della cosiddetta “vecchia scuola” lo odiassero perchè supercommerciale, tanto da renderlo protagonista dei primi dissing (Articolo 31 su tutti), tu rendi (giustamente) merito a Jovanotti di aver fatto conoscere il rap al grande pubblico.

A me Lorenzo è sempre piaciuto, e non ho mai avuto nessun problema ad ammetterlo.
Già lo ascoltavo da giovane, dai tempi di Walking, quindi per me è stato un onore essere sul suo stesso palco da collega. Infatti con grande amicizia, come racconto nel libro, mi ha invitato al Jova Beach Party a Marina di Cerveteri.
Nonostante la differenza di età, di percorso e anche di pubblico, sono orgoglioso del fatto che abbia voluto condividere con me una parte di un suo concerto.

Nel libro c’è un capitolo dedicato al tuo incontro con Franco Califano, dove racconti che il Maestro ti aveva invitato a scrivere testi più emozionali. Tu non eri convinto di quel suo consiglio, ma col tempo ti sei ricreduto e gli hai dato ragione a posteriori, basti pensare a un disco davvero intimo come Interno 7.
Eppure non è che questi brani mancassero nella tua discografia: penso ad esempio ad un tuo bellissimo pezzo del primo album, Il meglio, che è una canzone decisamente romantica ed emozionale.

Il meglio piace molto anche a me, anche se col senno di poi mi viene da dire che l’esecuzione tecnica vocale non è perfetta. Inoltre di quel brano mi piace molto la citazione iniziale di Fossati, che per me è uno dei massimi esponenti del cantautorato italiano.
Oltre a Il meglio in quello stesso disco c’era anche Ciclico, che forse a livello esecutivo era più performante, tanto che fu usata anche dai Manetti Bros nel loro film Torino Boys.
Quindi la mia anima più cantautorale, se vogliamo anche più malinconica, era già presente nel primo album con quei due brani e La valigia, però era in netta minoranza rispetto al resto delle canzoni.
Negli anni ho cercato e ho avuto anche la necessità di fare uscire di più quel mio lato, sia a livello di quantità che di qualità. Se penso al livello di esecuzione canora e scrittura che ho raggiunto ora con Interno 7 e Suburra penso di essere arrivato più in alto rispetto a Il meglio e Ciclico: canto molto meglio e la scrittura è più elevata, dalle citazioni alla metrica.
Sono contento della mia evoluzione musicale, questo al di là dei risultati commerciali, che a volte sono frutto anche di dinamiche che non sempre combaciano con la qualità espressa.

Roma è cambiata tanto in questi anni da quando Piotta è salito alla ribalta, così come la musica italiana in generale. Cosa ne pensi dei nuovi artisti della scena romana? E cosa c’è di diverso rispetto ai tuoi esordi?

Penso che la qualità della vita di una città sia inversamente proporzionale alla creatività che riesce a stimolare. Per assurdo più è difficile vivere in una città, più c’è la necessità di lasciare traccia di queste complicazioni, personali e collettive.
Quindi secondo me Roma continua a sfornare un sacco di artisti, perchè è una città che purtroppo continua ad avere la sua magia ma anche i suoi disagi.
Questi artisti, che spesso sono giovani, a volte rappresentano delle zone che non sono quelle “famose” dei film su Roma, ma sono quelle più periferiche o semiperiferiche. Da qui nasce quindi necessità di raccontare il proprio disagio, sia personale che generazionale, tirando fuori un sacco di canzoni.
Rispetto all’hip hop di allora chiaramente è cambiato tutto: banalmente anche il solo fatto che trent’anni fa non c’era internet ha portato una rivoluzione. Se prima i dischi e la musica dovevi andarla letteralmente a trovare, ora hai tutto a portata di mano, ed è una differenza non da poco.

Quello che secondo me è cambiato molto è anche il fatto che prima si puntava sullo stile, sulle rime, sulla classe, mentre ora nei testi dei nuovi rapper o trapper vedo quasi sempre la fiera dell’ostentazione fine a se stessa.

Prima il rap era di un gruppo di artisti ristretto mentre ora è di massa, quindi come tutte le cose che diventano di massa arriva a contenere tutto e anche il suo contrario: trovi quello più commerciale, quello più alternativo, il più hardcore, il più politico, e così via.
Sicuramente la componente materialista nell’hip hop c’è sempre stata, in questo momento diciamo che è preponderante, quindi c’è questo aspetto sia del possedere che dell’apparire. Potremmo discuterne per ore, ma dipende molto dall’anagrafica e dalle esperienze fatte, perchè poi bisogna vedere cosa si vuole “possedere”. Una collezione di vinili? Dei quadri? Una biblioteca intera? Per me una cosa simile ha un valore che va al di là di quello economico, perchè sono i contenuti che fanno la differenza. Però ovviamente non siamo tutti uguali.

Riallacciandomi proprio a questo, tu nel libro affermi di avere una collezione di oltre 15.000 dischi. Non male…

Sì, sono circa 15.000, se non di più, tra vinili e cd. Sono divisi in due grandi blocchi a livello numerico, e poi ogni blocco ha i suoi mondi da esplorare. Sicuramente la parte della musica black, quindi il funk, il soul, il jazz e ovviamente l’hip hop, sia old school che più recente, la fanno da padrone. Ci sono cose che ho amato e ho ascoltato tanto, altre che ho apprezzato meno, ma che comunque ho ritenuto importante avere.

Per concludere, uno sguardo al futuro: nel libro accenni che il prossimo disco sarà sulla falsariga di Interno 7, ovvero troveremo nuovamente un Piotta cantautorale e intimo. Puoi svelarci qualcosa in più?

Al momento le cose su cui sto lavorando sembrano andare in quella direzione, però ancora non so cosa accadrà, la lavorazione è appena all’inizio.
Non ho idea di quando uscirà, perchè arrivato al nono album sono convinto il disco debba uscire quando sento che è bello. Non posso e non devo essere schiavo della fretta perchè qualcuno ha deciso che deve essere pubblicato in quel mese e in quell’anno.
Quando sentirò che l’album è oggettivamente bello, che ha un suo inizio e una sua fine certa rispetto a ciò che l’ha preceduto e a ciò che potrebbe eventualmente venire dopo, allora sarà giusto farlo uscire.
Ma soprattutto, oltre ai singoli e ai videoclip, tutto il lavoro verrà fatto con l’idea di portarlo dal vivo per farlo ascoltare al pubblico, che è la dimensione che preferisco.

Tommaso “Piotta” Zanello, Il primo re(p): compralo su Amazon.

piotta

Nato a Roma nel 1984, ma vivo a Venezia per lavoro. Musicista e cantante per passione e per diletto, completamente autodidatta, mi rilasso suonando la chitarra e la batteria. Nel tempo libero ascolto tanta musica e cerco di vedere quanti più concerti possibili, perchè sono convinto che la musica dal vivo abbia tutto un altro sapore. Mi piace viaggiare, e per dirla con le parole di Nietzsche (che dice? boh!): "Senza musica la vita sarebbe un errore".

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