È disponibile da oggi il nuovo singolo di Kublai, nome d’arte di Teo Manzo, Una notte più lunga. Questo è il primo capitolo di un nuovo EP previsto per questa primavera che si chiamerà Sogno vero.
Il singolo, suonato interamente con strumenti elettronici, crea un’atmosfera estremamente cupa ed è l’inizio di un viaggio verso l’universo onirico-urbano del cantautore milanese che conduce l’ascoltatore verso una sorta di baratro. Non un abisso minaccioso, ma di un vuoto che occupa spazio, che completa, che informa.
Abbiamo sentito Kublai, per farci raccontare di più di questo suo nuovo percorso.
Cosa deve aspettarsi chi ascolta il tuo nuovo singolo?
Domanda difficile, perché per me è sempre difficile immedesimarmi nell’ascoltatore. Questo perché il mio progetto si chiama Kublai nasce su un presupposto, e cioè che i brani non li scrivo da solo ma li scrivo sempre partendo da zero collaborando con una persona, in questo caso questa persona è Mamo, che è il batterista degli Iodrama, una band milanese. Quindi, non essendo io l’unico autore del brano e siccome la composizione è avvenuta insieme proprio dall’inizio, si è creata una sorta di forma a metà tra me e lui, una specie di essere che sta tra me e lui e che per me è un po’ difficile descrivere e sapere quale sarà l’effetto sull’ascoltatore. In generale, è il brano di apertura di un EP nato perché io e Mamo qualche anno fa abbiamo condiviso un periodo un po’ difficile e scrivere insieme è stato un po’ un modo per aiutarci a uscire da questa situazione. Una notte più lunga, essendo l’inizio di questo è EP, è un po’ un volersi allontanare da questa specie di incubo che abbiamo visto insieme. Poi piano piano l’EP procederà con altri brani che continuano questo percorso. Diciamo che come primo brano, l’ascoltatore si deve aspettare qualcosa di abbastanza cupo, strano, addirittura inquietante. È però l’inizio di un percorso di uscita da questo incubo. Questo lavoro si chiama Sogno vero perché è il passaggio da una situazione più da incubo alla voglia di arrivare ad un sogno più luminoso.
In questo pezzo parli di una precarietà che non è più insopportabile. Come sei arrivato a formulare questo pensiero?
È un qualcosa di molto strano, nel senso che questo non è un pensiero ma è quasi un sentimento. Non è una cosa che ho pensato, ma che ho capito a un certo punto, dopo che abbiamo fatto tutto questo lavoro insieme, in cui abbiamo scritto l’album, ma l’ho capita a livello emotivo. Ho capito che quello era stato un modo per guardare al passato e non voler nascondere la precarietà, il dolore e le difficoltà ma riuscire finalmente, dopo un percorso, a guardarle in faccia, magari un po’ da lontano, però senza far finta che non esistano. In questo senso, questa precarietà, soprattutto poi quando si usa il linguaggio musicale, è molto utile, perché ciò che emoziona nella musica è sempre la tensione, è sempre un qualcosa di precario, un qualcosa che sta per accadere o che rischia di accadere o che ci tiene in equilibrio musicale tra tra stati d’animo. E quindi tutto il senso di questo singolo in particolare, ma poi tutto di tutto l’EP, è un po’ questo. Cioè rendere il buio sopportabile, guardabile e accoglierlo come parte della nostra vita.
Come avete lavorato per costruire questo nuovo pezzo?
Abbiamo lavorato in una maniera molto semplice: l’idea alla base di questo progetto è proprio di partire da zero insieme. Uno dei due ha dato l’input, in questo caso Mamo ha fatto un giro di batteria, molto breve, e io su quell’input ho aggiunto un contributo melodico e ho “ripassato la palla” a lui. Il risultato di questa cosa, essendo uno scambio continuo, non si sa dove va a finire, c’è una sorta di imprevedibilità. Così si toglie un po’ l’elemento della premeditazione, che è un po’ “diabolico”, se vogliamo, soprattutto se non sei al primo disco. Per me lavorare con altre persone serve proprio a questo, a non specchiarmi quando faccio qualsiasi cosa, perché non ti sposta.
A livello di produzione, che tipo di lavoro è stato?
Per questo singolo ci siamo affidati a Vito Gatto, che è un musicista bravissimo che si occupa principalmente di musica elettronica. Lui ha portato quello che era il nostro lavoro a un livello di produzione superiore, ma sostanzialmente i brani sono rimasti quelli. Lui ha costruito l’atmosfera, portandoli nel giusto mondo mentale. Non abbiamo registrato niente di analogico, non siamo andati in studio. Sono tutti strumenti elettronici, per scelta, perché questo ci consentiva di tenere questo ambiente “onirico” dove è è nato questo pezzo e dove volevamo che rimanesse.
Qual è, se c’è, il fil rouge che collega questo progetto al tuo album di esordio?
Il fil rouge è quello del metodo di composizione, perché anche il primo album è stato costruito in questo modo. Anche inteso a livello di contenuti: cioè, quell’album metteva in scena un dialogo tra due persone, mentre in questo album abbiamo mantenuto questa struttura diciamo dialogica, non tra due personaggi ma tra due poli, in un certo senso. E poi musicalmente, c’è un’evoluzione, perché il precedente era molto meno cantabile, mentre questo, forse tranne questo primo singolo, è composto molto più da canzoni.
A che punto sei con il nuovo EP?
L’EP è finito. È già tutto pronto e forse uscirà a marzo o aprile. Abbiamo voluto fare un singolo come anteprima.
Cosa ti aspetti da questo nuovo progetto discografico?
Io tendo a non aspettarmi nulla perché tendo a vivere la musica passo per passo. Nel senso che tutto quello che metto nei miei dischi è qualcosa che ha molto a che fare con la mia vita e col mio modo di comporre. E questo in un certo senso ti toglie sia dalla premeditazione, ma anche dalle aspettative. Ovviamente io spero che questo lavoro possa essere diffuso il più possibile, ma non mi dò una misura di questo possibile. So anche che questo album, nei testi, nel modo di porsi, è un po’ inafferrabile, afferisce al mondo onirico, quindi è difficile dire quanto possa piacere alle persone con queste caratteristiche. L’unica cosa che mi auguro, visto che comunque è un EP molto breve, è che chi inizia arrivi poi alla fine del tunnel.