Una scelta non comune: mettere insieme le poesie di Emily Dickinson e la musica classica, con un pop elettronico. È questo il concept dietro Where Children Strove, il nuovo EP di Colombo (alterego di Alberto Travanini) disponibile dal 6 gennaio e distribuito da Artist First.
Where Children Strove è un disco dedicato alle poesie di Dickinson, dove ognuno dei quattro brani si riferisce a una poesia diversa con temi diversi: l’amore passionale, l’amore come bisogno vitale, la gioia e l’angoscia dell’attesa e il significato della mortalità. Temi assolutamente universali che in un’epoca nuova possono portare ad altre interpretazioni, altri punti di vista. Anche musicalmente la scelta del cantautore bresciano è stata coraggiosa: tenere insieme musica classica – da Chopin a Ciajkovskij – e pop poteva essere un autogol. E invece si è rivelata una scelta che paga. Si tratta di un progetto interessante, che pur trattando temi “comuni”, non è banale.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alberto, per farci raccontare di più del suo EP.
Dovendo descrivere questo nuovo album in poche parole, come lo racconteresti?
Direi che è un esperimento. Io l’ho vissuto un po’ così, la cosa principale è che è un modo per me di mettere insieme diverse cose che ho vissuto e che mi sono piaciute, quindi la poesia di Emily Dickinson, la musica classica e la musica pop-elettronica. Quindi è una specie di fusione che spero sia riuscita.
Cosa deve aspettarsi chi lo ascolta?
Secondo me, dovreste aspettarvi qualcosa di qualcosa che non ha una forma precisa. Rispetto magari alla musica che ascoltiamo quotidianamente, a quello che ci viene offerto dal mondo musicale, è qualcosa che non ha quelle stesse strutture, quella forma, quel linguaggio in un certo senso “standardizzato”. Senza volermela tirare troppo, dico qualcosa di un po’ diverso.
Il file rouge che tiene insieme questi quattro brani è Emily Dickinson. Da cosa nasce questa scelta?
Nasce dal fatto che io non sono appassionatissimo di poesia, però mi piace e tempo fa mi regalarono un libro di poesie di Emily Dickinson. Come autrice, non la conoscevo benissimo, a parte un paio di poesie molto famose. Per il resto l’ho scoperta così, leggendo questo libro. E proprio nel leggerla, visto che c’era il testo sia in inglese che in italiano, ho pensato subito che fosse estremamente musicale dal punto di vista di come suonavano le parole. E quindi lì ho pensato “sarebbe bello provare a cantarle”, ci ho provato e visto che mi piaceva, ho scritto questi pezzi che ora costituiscono l’EP.
Quando e come è nato questo album?
Mi ricordo il momento esatto, perché c’è anche una parte della suggestione della musica classica. Io sono un ex pianista classico, anche se ultimamente è una cosa che faccio raramente quella di mettermi a suonare musica classica al pianoforte. Però un giorno mi sono messo a suonare un pezzo di Ciajkovskij, il “Concerto per pianoforte e orchestra” e, nel suonarlo, dato che la melodia la suona l’orchestra e non il pianoforte, mi canticchiavo nella mente la melodia e dicevo “questa melodia potrebbe ispirarmi una canzone”, così ho provato a metterci una poesia di quelle che mi era piaciuta di Emily Dickinson e da lì è venuto fuori questo miscuglio veramente casuale quindi, non studiato che è il mio EP.
Quale stato il brano più difficile da scrivere?
Quello più complicato, cioè quello che mi ha occupato più tempo, è stato l’ultimo che si chiama proprio Where Children Strove e da il titolo all’EP, perché effettivamente è quello che musicalmente forse un pochino più più complesso: ha una parte molto classica e una parte molto pop. Mentre gli altri sono un po’ tutti più mixati, quello proprio fa emergere le due anime di questo lavoro e forse è stato bello proprio per questa su parte difficile.
Come ti è venuta in mente l’idea di tenere insieme due cose così apparentemente lontane come la musica classica e il pop?
La mia idea è che è un peccato lasciare che la musica classica, che ovviamente è un linguaggio antico rispetto al nostro, in un certo senso si perda. E visto che nella storia si è sempre preso il passato per rinnovarsi, ho provato a riapplicare questo concetto: quindi la mia idea era proprio quella di avere delle cose che rimandassero un po’ quel mondo, alcune melodie o il fatto che il pianoforte sia molto presente all’interno dell’album, e poi aggiungere qualcosa del pop. Ho cercato di tenere insieme anche i miei gusti. Il risultato mi piace, anche se penso che è un primo esperimento di un linguaggio che magari potrei evolvere in futuro.
A livello di produzione, che tipo di lavoro è stato?
Anche qui è stato un po’ un salto nel vuoto. In passato di solito ero abituato a lavorare sempre con qualcuno e fare un lavoro quindi di team. In questo caso, forse anche perché puntavo a fare qualcosa di totalmente mio, ho fatto tutto da solo sotto: ho cantato, registrato, arrangiato, prodotto e mixato. Solo il mastering non è mio, per questioni puramente tecniche. Però insomma ho veramente provato a mettere tutto quello che potevo della mia sensibilità
Cosa ti aspetti da questo disco?
Spero che chi lo ascolta percepisca la voglia di fare qualcosa di diverso e che possa risultare comunque interessante per chi lo ascolterà. Chiaramente, poi spero che arrivi un po’ di quello che sono io, visto che ci ho messo un punto di vista molto personale. Spero che esca in qualche modo me stesso attraverso questo album che sento molto vicino a me.
Quali piani hai per il futuro?
L’idea è quella di suonare live. Infatti, in questo periodo sto provando a trovare il modo migliore per trasferirlo musicalmente nel live, perché comunque registrare i brani è una cosa e suonarli dal vivo, cercando di renderli allo stesso modo, è molto diverso. Diciamo che lo porterò live quando sarò sicuro che riuscirò a renderlo allo stesso modo anche dal vivo.