Sono quasi ai due estremi opposti i trombettisti delle cui nuove uscite discografiche vi proponiamo l’ascolto. L’americano Ralph Alessi è un grande appassionato di avanguardie, che ha suonato con Steve Coleman, Uri Caine, Don Byron, Ravi Coltrane, Sam Rivers, e collaborato con David Gilmore, Bobby Previte, Tim Berne, Muhal Richard Abrams, Kenny Werner, per citare nel mazzo. Il fondatore dei superesponenti del funk jazz britannico Haggis Horns, lo scozzese Malcom Strachan, ha invece fatto da sideman per personaggi come Lou Donaldson, Jamiroquai, Amy Winehouse e Martha Reeves & The Vandellas.

Escono pressoché in contemporanea con i loro nuovi album, il tredicesimo da leader per il 60enne Alessi e solo il secondo per il più giovane, ma rodatissimo, Strachan. Ciascuno nel proprio ambito sonoro, sono entrambi di qualità elevata e offrono un ascolto talmente lontano da essere quasi simbiotico e persino sotterraneamente interconnesso. E anche il soffio nella tromba dei due musicisti è sì discordante per diversi fattori – le sequenze armoniche delle frasi, il gioco della mano sui pistoni, la narrazione della frase melodica e la sua urgenza – però è altrettanto non estraneo per la sintesi evolutiva della proposta e per il rapporto con il tempo, sì in contrappasso fra loro, però sempre inteso ad assolvere un bisogno comune: l’inventiva raffinata e insieme toccante.

trombe jazz
Ralph Alessi Quartet

It’s Always Now (ECM/Ducale) è un disco che coniuga un sound dilatato e visionario con la modernità, suoni panoramici e sperimentazione, senza singhiozzi o cadute di tensione, ma con un feeling a volte obliquo e complesso, a volte meditativo e metafisico, a volte trasparente e filigranato, a volte appena schizzato. Sempre ispirato, più che in altre occasioni, più che nel già ottimo precedente Imaginary Friends del 2019. Il nuovo quartetto di Alessi, con l’ottimo Florian Weber al pianoforte (inutile ricordare che importante musicista sia il tedesco, probabilmente l’europeo più vicino al grande Fred Hersch con cui il trombettista ha inciso quattro album) e i due “volumetrici” ritmi Bänz Oester al contrabbasso e Gerry Hemingway alla batteria, srotola 13 brani del leader – in un paio aiutato da Weber – come fossero tappeti volanti di mirabile fattura artistica.

Alessi sa passare da situazioni che gli permettono di non dimenticare il suo passato, sulla scia di papà Joe, come concertista classico contemporaneo (The Shadow Side) a quelle in cui il suo slancio si fa più frastagliato e insieme più tagliente (Hanging By A Thread e la relativa intro Ire), alcune in cui ritrova certi percorsi che potrebbero fiancheggiare le avanguardie con la loro volteggiante intenzione quasi free (His Hopes, His Fears, His Tears) e altre dalla sofisticata astrazione cosmica che rimanda a certe cose di Tomasz Stanko (Tumbleweed). E ancora alterna le lunghissime, lentissime ombreggiature melodiche (la title-track), la voce lamentosa e pervasivamente austera (Old Baby), la determinante presenza espositiva e propulsiva di Weber, pianista dai raffinati intrecci armonici (Hypnagogic), fino al sincero, attualissimo specchiarsi nell’ortodossia jazzistica più modernista (Everything Mirrors Everything). Un disco che propone una potente tesi individuale da parte di un musicista che sa mettere il proprio quartetto e le proprie teorie compositive nell’orbita di un personalissimo viaggio nel tempo, misteriosamente serena e sempre umana.

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Malcom Strachan

Point Of No Return (Haggis Records) è un album di soul e latin jazz attualissimo e vibrante. Siamo perfettamente nella linea evolutiva del riuscito predecessore About Time datato 2021 e con il poderoso e avvolgente sound della band numero uno del funk jazz inglese, quegli Haggis Horns di cui Malcom Strachan fu uno dei fondatori (a Leeds, città dove aveva frequentato il College of Music, l’equivalente del nostro Conservatorio) nel 2004, dopo numerose sessioni discografiche come sezione fiati. Siamo in un territorio che si rifà alle incisioni fusion dell’etichetta CTI di metà anni 70 e che oggi – grazie anche a tumultuose iniezioni ritmiche e poderose spruzzate dance – ha assunto i connotati di una nuova attualità e di una piacevolezza molto più diffusa. I suoi compagni di strada rimangono quelli del precedente lavoro (gli haggis – è un terribile piatto locale a base di frattaglie di pecora – George Cooper al piano, Erroll Rollins alla batteria e Atholl Ransome al tenore e al flauto, più il contrabbassista Courtny Tomas e il trombonista Danny Barley), cui si aggiungono le percussioni di Sam Bell e, in tre brani, gli archi campionati di Richard Curran.

Apre il cd Nossa Dança con un galoppante ritmo latino, punteggiato da due pregnanti assolo di tromba e di piano. Più lenta e avvolgente la successiva Soul Trip, in cui la tromba vola, quasi epica, a dipingere note iridescenti su un sottofondo calmo e ripetitivo. In The Wanderer i delicati vocalizzi della svizzera Jo Harrop arricchiscono una trama latina più volatile e interiore. L’amore di Strachan per le ballad emerge intenso in The Last Goodbye, che non poco deve alle descrizioni da soundtrack, ma in cui la sua tromba disegna arabeschi emozionanti e lirici sul tappeto degli archi. Elaine rimanda alle colonne sonore dei film italiani anni 70 – firmate Piero Umiliani, Riz Ortolani, Franco Micalizzi e così via – e Cut To The Chase riporta in evidenza la formidabile sezione ritmica, un treno in corsa su cui volteggiano i fiati, sia in solo che in parata. Chiude Maybe Next Time, quasi una promessa di nuove avventure e di qualche cambiamento, di cui, ascoltati i brillanti intrecci da jazz club senza tempo di piano, archi e tromba, non si sente affatto il bisogno.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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