Il capofamiglia
di Omar El Zohairy
con Demyana Nassar, Samy Bassouny, Fady Mina Fawzy, Mohamed Abd El Hady
All’inizio un uomo si dà fuoco. Tragedia. Poi entriamo in una casa sottoproletaria egiziana. Nuda. Sporca. Sporchissima. Un operaio, i suoi tre figli, un televisore, fumo che entra in casa da tubi alla David Lynch, cemento, la moglie schiava e stanchissima che in casa fa tutto, il capofamiglia che centellina i soldi per i pasti e poi torna a casa con fontanelle e lampade kitsch per abbellire l’orrore. Alla festa di compleanno di uno dei bambini il suo capo regala dei soldi al piccolo e gli augura di non diventare un perdente come il padre. Allegria. Si spera che la tristissima (o incomprensibilmente allegra) umanità che riempie le scene sia un dispositivo ironico. Ed ecco durante la festa un prestigiatore squallido mette il capofamiglia in una cassa e lo trasforma in pollo. E pollo rimane. Con l’orologio di quando era uomo. Il regista dice di essersi ispirato alla Metamorfosi di Kafka, i critici fanno spesso il nome di Kaurismaki, noi abbiamo visto un’estetica vetero industriale degna di Lynch in salsa araba, ma l’ironia del mago cialtrone che sbaglia le magie viene da certi racconti di Woody Allen. È un caos controllatissimo di ciminiere, fabbriche, deserti, babbuini, nani, maghi, burocrati, discariche, cessi e tantissima gente che conta soldi: un caos attraversato dai silenzi e dagli sguardi da Buster Keaton della bravissima Demyana Nassar, la madre, moglie, schiava che porta sulle spalle tutto il peso di una condizione femminile terribile in un mondo di maschi che si trasformano in polli sporchi e stupidi. O peggio… Un critico su Jeune Afrique ha riconosciuto nell’uomo che si dà fuoco la protesta del tunisino Bouazizi che ispirò la Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia nel 2010, insomma la Primavera araba. Ma il regista El Zohairy sostiene di non fare politica. Con il titolo originale Feathers (Piume) il film ha fatto incetta di premi a partire dalla Settimana della critica a Cannes.
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