Senhit, una vita tra teatro e note sognando Sanremo (intervista)

0
Senhit
© Fabrizio Cestari

Dopo il successo del tour nei party eurovisivi di tutta Europa, da Amsterdam a Londra, da Torino a Parigi, Senhit, artista poliedrica, cantante, attrice e performer, nata a Bologna ma cittadina del mondo, è tornata con un nuovo singolo che farà ballare per tutta l’estate.

Dal 26 maggio è infatti disponibile sulle piattaforme di streaming, ed è entrato in rotazione radiofonica, Pow, una sferzata di energia che invita a non aver paura delle sfide e a farsi rispettare.

Senhit vanta performance in tutto il mondo e collaborazioni con artisti del calibro di Benny Benassi, Flo Rida, Steve Aoki e Tory Lanez. Con il brano Adrenalina, portato sul palco dell’Eurovision Song Contest 2021 insieme a Flo Rida e con la direzione artistica di Luca Tommassini, in rappresentanza di San Marino, Senhit ha conquistato non solo la serata finale ma il pubblico internazionale.

Grazie a questo singolo di successo e al Freaky Trip To Rotterdam è diventata una delle artiste più conosciute dal pubblico eurovisivo.

Il festival “Various Voces”

Con il suo percorso artistico, Senhit ha sempre lanciato messaggi contro ogni forma di discriminazione, a favore della valorizzazione dell’identità, grazie a una musica che non ha confini e che trasmette vibrazioni positive.

Il 10 giugno sarà al Pride di Roma, dopo aver partecipato lo scorso anno a quello di Milano e di Madrid, e il 16 giugno presenterà il Gran Galà del Festival internazionale di Cori Lgbtq+ “Various Voices” che si terrà a Bologna dal 14 al 18 giugno 2023 con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna.

Per la prima volta in assoluto dalla prima edizione del 1985, il Festival approderà infatti in Italia. Ad oggi sono previsti in arrivo più di 3500 coristi per 107 cori provenienti da 20 nazioni diverse tra Europa e Stati Uniti, ma anche un coro sudafricano e un coro neozelandese.

Oltre a presentare la serata, Senhit sta preparando una performance a sorpresa e si esibirà anche durante la Cerimonia di chiusura del 17 giugno.

Il singolo che ha preceduto Pow è Try to love you, una ballata in inglese, raffinata e dal sound internazionale, prodotta da Thomas Stengaard, che già ha collaborato con Senhit per Adrenalina e che ha lavorato con molte star eurovisive e artisti come Alvaro Soler.

IL VIDEO UFFICIALE DI POW

Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!

 

Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.

È firmato da Luca Tommassini e trasporta il pubblico in un mondo che sembra dipinto da Keith Haring, ispirato all’opera “tuttotondo”, in cui forme e colori invadono ogni superfice e ogni ballerino. Senhit è la regina di questo caleidoscopico scenario in cui si respira l’atmosfera del festival musicale in stile Burning Man: attorno a lei, i danzatori e performers internazionali Shakirudeen Adewale Iyiola Alade, Ilaria Cavola, Megan Ria, Francesca Tanas e Patrizio Ratto.

È una nuova Senhit che danza, sorride e celebra una contemporaneità quasi futuristica attraverso nuovi look. Un viaggio in una dimensione pop, folle, colorata e fuori dal comune, che parte da una foresta magica con gli alberi dalle fantasie optical degli anni ’60 e si conclude con un pool party in stile pop art.

LA NOSTRA INTERVISTA

Senhit
© Fabrizio Cestari
Come ti sei avvicinata alla musica e quando hai compreso che sarebbe stata per te una via preferenziale di espressione?

Ho cominciato giovanissima, con un banalissimo “Karaoke” di Fiorello. Ero molto giovane, frequentavo ancora la scuola ma avevo comunque voglia di cimentarmi con qualcosa di diverso dalle solite cose da adolescenti. È sempre stata una grande passione, un grande interesse, quello di cantare, ma dovevo coltivarlo con calma perché in casa avevo e ho ancora due genitori molto severi che pensavano e pensano, ogni tanto, che faccio un lavoro davvero troppo strano (ride, n.d.r.).

Però sono stata molto testarda e caparbia, quindi ho finito di studiare e quello che doveva essere un semplice interesse, con calma, è diventato un lavoro. Un lavoro che mi appassiona ancora tanto, dopo tanto tempo, e che pratico sempre con tanto entusiasmo.

Quindi sì, paradossalmente la folgorazione l’ho avuta grazie a Fiorello e al karaoke in giro per le piazze.

Nelle primissime fasi di questo percorso di avvicinamento, ci sono stati ascolti specifici che ti hanno guidata?

Ascoltavo un po’ di tutto: sono sempre stata molto curiosa, molto affascinata dalla musica in generale, e soprattutto dal musical, quindi dal teatro: mi piaceva l’idea di riuscire a portare in scena tre o quattro arti contemporaneamente, quindi ballare, recitare, cantare, travestirsi… ed effettivamente è stata anche la mia prima gavetta, il teatro.

Quindi sì, non ho mai avuto una guida unica né un’unica aspirazione: allora come adesso, ho sempre ascoltato tutto e ho curiosato un po’ ovunque, musicalmente parlando.

Venendo proprio alle esperienze teatrali, il palcoscenico l’hai sentito come un approdo naturale? E quali acquisizioni hai poi portato nel tuo mondo di cantante?

È stato consapevole e voluto perché, come ti dicevo prima, per me poteva essere la formula giusta per riuscire a mettere insieme tutte queste belle arti contemporaneamente; mi ha dato una grossa conoscenza, consapevolezza e sicurezza rispetto alla presenza scenica, che ancora oggi mi sto portando dietro. Infatti prediligo molto più i live nei locali, nei palazzetti, nei teatri, piuttosto che gli studi televisivi o di registrazione, proprio perché mi piace l’idea di avere un contatto col pubblico più diretto. 

Mi piace l’autenticità, mi piace sentire immediatamente quella che può essere la critica o anche solo l’energia. Sicuramente il teatro ha aiutato tantissimo in questo.

Per quel che riguarda, invece, il tuo percorso musicale, l’incontro della svolta è stato con Gaetano Curreri e gli Stadio.

Guarda, sono stata davvero tanto fortunata perché, dopo il periodo adolescenziale e un tentativo di fare un pezzo di università, sono stata rapita professionalmente da un grande pigmalione che è stato Massimo Ranieri per quel che riguarda il teatro. E dopo diverse esperienze in giro per il mondo, sono tornata nella mia Bologna e ho avuto un’altra grandissima fortuna: di lavorare con un altro grande pigmalione che è, appunto, Gaetano Curreri. È da lì che è cominciata la mia carriera da solista nella discografia italiana.

Gaetano è stato una grande risorsa, perché mi ha aiutata a conoscere questo folle mondo della discografia che è molto diverso dal teatro: devi comunque prepararti molto, molto di più e molto meglio perché non è più Senhit che si trasforma in un personaggio disneyano e porta in scena una fiaba, ma sono io che devo portare in scena la mia musica, il mio essere… quindi mia dato dei punti da seguire, ma anche tanta emozione, ed è stato davvero molto importante. Sono stata “a traino” ai loro concerti, da spalla d’apertura spettacoli, ed è stato davvero molto emozionante perché Gaetano, oltre a essere una persona deliziosa, era ed è un grande artista. Mi ha dato una grossa mano.

Qual è stato il terreno comune sul quale avete costruito insieme?

Bologna, la nostra città. Abbiamo in comunque questo grande amore per Bologna. Io, poi, da giovane puledro, volevo anche fare altronon rimanere nelle mura italiane, però diciamo che la peculiarità che ci ha legato tanto è stata Bologna. Tanto che abbiamo deciso, all’inizio della mia carriera, di omaggiarla creando un album di cover riarrangiate di artisti bolognesi: gli stessi Stadio, Dalla, Guccini, Bersani, etc.

Il calcio ha rappresentato una sorta di “ponte” tra la tua vita personale e quella professionale: la Panini, infatti, ha prodotto e produce diversi tuoi lavori discografici.

È proprio così! La Panini tutti la conosciamo come una grande multinazionale che si è sempre occupata di figurine, ma in realtà fa tante altre cose, soprattutto in giro per il mondo. E ha voluto cimentarsi anche con la musica, distribuendo e producendo dischi. Io sono di Bologna, la Panini è di Modena, e loro cercavano una figura che rappresentasse qualcosa di vicino all’Italia ma anche con sfumature internazionali, e così hanno deciso di coinvolgermi.

Avevo appena chiuso il mio periodo disneyano con il musical “The Lion King”, e tra l’altro per diletto sono sempre stata una ipersportiva, quindi giocavo anche a calcio, e questa cosa li ha molto incuriositi: sono di Bologna, sono una ragazza di colore di origini eritree, mi sono sempre sentita cittadina del mondo, e sono una cantante, così si son detti “Perché no? Proviamoci!”.

Così, ci siamo effettivamente sposati, perché sono ormai tanti anni che lavoriamo insieme. La Panini ha magari il difetti di non essere una casa discografica, quindi di non avere le risorse e le competenze di una casa discografica, però ha anche un grande entusiasmo e un entourage giovane che ha voglia di investire e di rischiare con qualcosa di diverso, e questo mi piace. Ormai siamo diventati una famiglia.

Nella prima fase della tua carriera, l’impronta dei testi e delle melodie era marcatamente ascrivibile al genere ballad, mentre oggi ti sei spostata su sonorità più vicine a una dance elegante.

È stato un percorso naturale. Il bello della musica, così come della vita, è che si cresce, ci si evolve, e anch’io all’inizio ero molto limitata dal fatto di dover fare cose che mi venivano suggerite da altri perché uscivo da una scatola di musical, da un mondo del teatro che conoscevo bene a differenza della discografia. Poi, piano piano, ho cominciato a lavorarci da sola, e il mio elemento è sempre stato, oltre al live, le canzoni uptempo, più ballabili, più energiche. Anche perché, caratterialmente, io sono fatta così:  sono un tuono di adrenalina, vengo meglio cantando canzoni molto più energiche.

Poi ci sono state situazioni nelle quali ho cantato altre ballad — una delle ultime è stata “Try to love you” —, e mi piace, ma probabilmente faccio ancora un po’ fatica a snodare quella parte intima di Senhit. Piano piano.

Tu canti sia in italiano che in inglese: quale delle due lingue, nella tua esperienza, ritieni riesca a veicolare meglio ciò che desideri comunicare?

Sicuramente la lingua italiana, però sono anche molto combattuta perché con l’italiano faccio più fatica ad arrivare “lontano”, mi sento meno trasversale. Ho deciso di utilizzare questo compromesso della lingua inglese cercando di trovare testi e produzioni che mi facciano sentire più comoda. In italiano faccio molta fatica a trovare brani che mi calzino bene a livello di produzione.

Grazie alla Panini, poi, ho la possibilità di riuscire ad arrivare oltreoceano, perché ovviamente la lingua inglese viene ascoltata un po’ di più.

Dal punto di vista della scelta, o della scrittura, dei brani che intepreti, c’è un elemento preciso intorno al quale costruisci l’intero progetto?

Sì, c’è senz’altro: sicuramente, cerco di essere sempre coerente e molto autentica sia nella scelta dei testi che delle canzoni in generale. Gli argomenti possono essere misti: ho parlato di amore, solidarietà, diritti, potere, grinta, energia… dipende. Essendo una coautrice, ma fondamentalmente una interprete, quando mi arriva un brano cerco sempre di capire perché mi è arrivato, perché scrivendo quel brano l’autore ha pensato a me, e allora a quel punto nasce quella collaborazione per riuscire effettivamente a mettere tanto del mio nella canzone.

All’orizzonte vedi un percorso ben definito per quel che concerne il tuo viaggio artistico?

Assolutamente sì: con l’uscita di questo brano che si chiama “Pow”, che tra l’altro è un fil rouge che parte da “Adrenalina”, passa per “Try to love you” e arriva a questa canzone estiva, mi piacerebbe continuare a uscire con queste piccole chicche fino alla fine dell’anno per poi, un giorno, decidere di racchiudere tutto in un album per pensare poi a un repertorio da portare in giro per tour o per concerti.

Mi piacerebbe ancora continuare a lavorare con grandi autori e artisti e fare della bella musica. Mi piace, mi piace l’idea di collaborare, di essere contaminata e aiutata da diversi artisti.

Cosa trovi, nella musica, che ti fa sentire libera?

Per me è realmente terapia. Io mi sento bene quando ascolto musica e quando faccio musica, che sia la colonna sonora di una serie TV o di un cartone animato. Per me la musica è prioritaria, è davvero urgente che ci sia nella mia vita. Poi, sono anche fortunata perché della mia musica sono riuscita a farne un lavoro. Ma mi ha sempre fatto uan grande compagnia, anche solo fischiettando: la definirei fondamentale.

Sei un’artista molto conosciuta e apprezzata nell’ambito eurovisivo: mi racconti cos’è, dal punto di vista sia dello spettacolo che da quello prettamente musicale, la strana creatura chiamata “Eurovision” che noi italiani ancora fatichiamo a decifrare?

È sicuramente una grande opportunità: chi riesce ad accedere a Eurovision ha davvero una grande possibilità di farsi sentire a livello mondiale, e se non lo vivi, non ci credi. Capisco che l’Italia sia sempre stata un Paese molto refrattario a queste cose avendo noi Sanremo e opere liriche, invece sono contenta che abbiano vinto i Måneskin, tra l’altro nell’anno nel quale ho partecipato io, perché questo ha dato finalmente all’Italia la possibilità di capire che tipo di fenomeno è l’Eurovision: un evento pazzesco, al quale consiglierei a tutti di partecipare.

Mi sono accorta che fortunatamente, negli ultimi anni, c’è stato un grande desiderio di conoscere questa grande kermesse. È una esplosione di colori: tu immagina quaranta stati che concorrono, ma in verità non la senti nemmeno la competizione, perché senti canzoni in ogni lingua, da ogni cultura, e per me, che caratterialmente nasco come una persona curiosa che assorbe tutto, è sempre stato una bellissima possibilità di incontrare gente, di ascoltare musica, di condividere passioni.

E in più, come dicevamo prima, hai la possibilità di farti conoscere effettivamente da tutto il mondo: pensa che ieri ho risposto alla mail di una ragazza che mi scriveva dalla Cina, che guardava Eurovision e che mi ha contattata per chiedermi l’autografo e l’ultimo album. È bizzarro come, in due giorni di spettacolo, si riesca a raggiungere così tante persone.

Una esperienza bellissima: io l’ho fatta due volte, mi piacerebbe rifarla ancora. È tanto grande quanto impegnativo perché, per un artista, è un lavoro di un anno: devi scegliere la canzone giusta, il team giusto, il progetto giusto… un grande carrozzone, ma una delle esperienze più belle della mia vita.

Ci sono stati un incontro o un episodio che ritieni essere stati particolarmente significativi, nel corso della tua esperienza?

Tantissimi. Io trovo bellissimo quando noi artisti veniamo coinvolti non solo a fare i nostri concerti, ma anche a cantare per eventi speciali che possono essere benefici, che possono essere nobili perché ci sono cause da poter difendere anche attraverso la musica. Forse il più bello ed emozionante è stato a San Siro “Amiche per l’Abruzzo”, che mi ha dato la possibilità di cantare in Italia quando Laura Pausini mi chiamò per intervenire. Sarà bellissimo anche il Festival internazionale per i cori LGBTQ+ al quale parteciperò questo mese, dove sarò presentatrice ma anche cantante, ed è la prima volta che Bologna accoglie un festival internazionale di questo genere. Sono tante le situazioni dove mi sono trovata a dire “Wow, che meraviglia fare questo mestiere!”.

Nel confrontarti con altri paesi, hai riscontrato differenze nella concezione della musica e del mercato della musica rispetto all’Italia?

Guarda, tanti anni fa avrei detto di sì perché ormai è tanto tempo che canto all’estero. Negli ultimi anni mi sono accorta che anche l’Italia ha delle grosse risorse non solo nel mio campo professionale: peccato che non vengano esaltate. C’è ancora questo cliché della poca meritocrazia: mentre fuori tu canti semplicemente perché vali, qui purtroppo non c’è ancora questo tipo di ragionamento. Ma ci sono talenti, grosse risorse, autori e cantanti fenomenali: solo, all’estero vengono molto più elogiati. Qui si fa ancora fatica a farsi riconoscere, in ogni settore.

Tornando al discorso canzone, anche quest’anno all’Eurovision abbiamo ascoltato molti artisti interpretare brani in inglese nonostante non fosse la loro lingua madre: reputi che esista la possibilità di mantenere una propria identità pur optando per questo genere di scelta comunicativa?

Sì, assolutamente. Poi, non ti nego che mi piacerebbe riuscire a cantare su un palco del genere anche nella mia lingua, in italiano… ho anche sognato tante volte di poterlo fare. Ma, come dicevamo prima, bisogna trovare la canzone giusta e il progetto giusto. In inglese viene più facile perché anche tecnicamente, a livello proprio di stesura musicale, è più facile cantare in inglese, e lo è anche a livello di produzione. Non ho trovato sbagliato che molti artisti si siano proposti così: dipende sempre da quello che vuoi fare. La Lituania, per esempio, ha portato una bellissima ballad in inglese: avrebbe potuto farlo nella sua lingua, ma per un palco come quello di Eurovision è giusto riuscire a “vendersi” con una canzone che tutti possono ascoltare e tutti possono cantare.

Non hai mai fatto mancare la tua voce quando si è trattato di promuovere la causa dei diritti: reputi che la musica possa rappresentare una sorta di “linguaggio universale” che contribuisca a rendere più immediati messaggi che, purtroppo, qualcuno fa ancora troppa fatica a recepire?

Può esserlo. Non totalmente, ma può aiutare. E qualcuno dall’altra parte con un orecchio può sentire, anche se magari non con tutte e due. Se le voci sono tante, il rumore diventa più ampio. E, in ogni caso, indipendentemente da chi ascolta, secondo me è giusto doverlo fare: a me piace mettermi in prima persona e poter usufruire di questo grande privilegio che è la musica, che è un microfono, per poter dire, attraverso le mie canzoni o attraverso degli eventi, come la penso. È giusto farlo sempre, e si spera sempre che qualcuno, dall’altra parte, ascolti: io dei risultati, negli ultimi anni, li ho visti. Sempre molto lenti, ma si vedono, soprattutto da parte del popolo, di chi ti viene a vedere.

Ultima domanda: un obiettivo per il futuro?

Mi piacerebbe moltissimo riuscire a provare a fare Sanremo. Non l’ho mai pensato perché, soprattutto con la Panini, ci siamo sempre mossi all’estero, avendo loro la potenza multinazionale ed essendo io cittadina del mondo… però adesso, a quarant’anni suonati, mi piacerebbe provare a partecipare. Anche lì bisogna avere il progetto giusto e la canzone giusta, però sì, non mi dispiacerebbe. Dopo aver fatto l’Eurovision, potrebbe sembrare un po’ un tornare indietro, ma non è vero: io sono italiana, son di Bologna, e mi piace l’idea di poter partecipare in Italia, di poter fare qualcosa a casa, e quindi Sanremo potrebbe essere un ottimo palco, un ottimo obiettivo. Boh: io ci proverò, poi vediamo!

Classe ’83, nerd orgogliosa e convinta, sono laureata con lode in ingegneria dei sogni rumorosi ed eccessivi, ma con specializzazione in realismologia e contatto col suolo. Scrivo di spettacolo da sempre, in italiano e in inglese, e da sempre cerco di capirne un po’ di più della vita e i suoi arzigogoli guardandola attraverso il prisma delle creazioni artistiche di chi ha uno straordinario talento nel raccontarla con sincerità, poesia e autentica passione.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome