Venezia 80. Dogman

Luc Besson e il suo antieroe cinofilo

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Sostenuto da protesi alle gambe, al culmine di una sequenza di disgrazie Caleb Landry Jones canta “en travesti” Je ne regrette rien,  canzone simbolo della vita tribolata di Edith Piaf: il disgraziato è stato chiuso dal padre in gabbia coi cani (era troppo buono con loro), il padre era un folle di Dio, il fratello un mentecatto e  mamma era scappata per la disperazione. Alla fine  è pure invalido per la furia paterna. Diventerà un jocker? Un fantasma dell’Opera? O del canile? Lo troviamo a confessarsi a un’operatrice sociale a cui spiega che nessuno l’ha mai amato a parte delle gentili drag queen e il branco dei suoi cani che sono meglio degli uomini: li ha usati per farsi aiutare in tutto, fare la spesa, cucinare, rubare ai ricchi (cioè, dice lui, redistribuire la ricchezza) e all’occorrenza anche fare guerriglia metropolitana ai mafiosi e scatenare massacri. Chissà perché non l’abbiamo trovato né entusiasmante né commovente. Anzi, un po’ già visto (o bisogna dire pieno di citazioni?)

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