7 ottobre, il giorno di dolore che uno ha

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Il giorno di dolore che uno ha

Per gli americani il 3 febbraio è il giorno in cui morì la musica: The day the music died, recita un celebre verso di American pie di Don McLean. Il 3 febbraio del 1959 un piccolo aereo si schiantò al suolo. A bordo c’erano Buddy Holly, Richie Valens e The Big Bopper. In Italia per fortuna non esiste una data così tragica, ma ce n’è una che un po’ le somiglia, il 7 ottobre: nel 1992 ci lasciò Augusto Daolio, nel 1995 toccò a Victor Sogliani, bassista dell’Equipe 84, e nel 2002 a Pierangelo Bertoli.

Oggi dunque ricorre il ventinovesimo anniversario della morte di Augusto Daolio, che se ne andò a soli 45 anni a causa di un tumore. Per lui gli ultimi tempi furono devastanti. Gli unici momenti in cui non soffriva era quando saliva su un palco, ecco perché i Nomadi facevano un concerto dietro l’altro: fosse dipeso da lui, non avrebbe mai smesso di cantare.

Nella mia mente si annida un ricordo molto lontano nel tempo legato ad Augusto. Cantagiro 1966, tappa di Sestri Levante. I Nomadi erano in gara con Come potete giudicar. Alloggiavano in un alberghetto di Cavi di Lavagna ed io, come tanti altri, mi appostai lì davanti per vederli da vicino. A un certo punto Daolio uscì in veranda.

augusto-firmaFece un autografo a tutti, ma senza fretta: ad ognuno regalò un disegno della sua faccia caratterizzata da quel barbone. Io avevo 11 anni, già mi piaceva la musica, ma da quel giorno iniziai ad amarla un po’ di più.

Quella sera i miei genitori mi portarono al campo sportivo di Sestri Levante. Cantò anche l’Equipe 84. Era il periodo di Io ho in mente te, grazie alla quale poi avrebbero vinto il Cantagiro.

il giorno di dolore che uno ha

Nonostante il clamoroso successo ottenuto tra il ’65 e il ’69 (o forse proprio per questo), si sarebbero sciolti tra liti e accuse reciproche. Ma Victor Sogliani ci ha provato fino all’ultimo a ricucire i pezzi, dando vita prima alla Nuova Equipe 84, poi all’Equipe Extra. Morì improvvisamente a 54 anni per un’embolia.

Pierangelo Bertoli, di cui oggi ricorre il diciannovesimo anniversario della morte, è stato uno dei cantautori più viscerali e autentici tra i molti che hanno calcato le scene italiane. Uno che pur avendo scritto canzoni immortali come Eppure soffia o A muso duro, quando era in vita erroneamente veniva considerato una figura di secondo piano. Come spesso succede, è stato rivalutato soltanto dopo la morte, in parte anche grazie a Ligabue, che proprio a Bertoli deve le prime soddisfazioni professionali: Pierangelo nell’88 incise Sogni di rock’n’roll e l’anno dopo Figlio d’un cane. Poi gli presentò il suo produttore Angelo Carrara, grazie al quale avrebbe registrato il primo album. Luciano e Claudio Maioli mi hanno parlato spesso dei loro peregrinaggi da Coreggio a Sassuolo, dove passavano intere nottate ad ascoltare i racconti di Bertoli, che per loro era un semi-dio.

bertoli-pierangeloFortunatamente oggi gli vengono riconosciuti quell’importanza e il prestigio che in 59 anni di vita e quasi 30 di carriera troppa gente gli negò. Non è certo un caso se i 13 artisti di Italia Loves Emilia, svoltasi nel settembre di 9 anni fa, vollero chiudere quella memorabile serata con una sua canzone, A muso duro, il cui testo rispecchia fedelmente la rabbia che s’intuisce già dal titolo: “Canterò le mie canzoni per la strada ed affronterò la vita a muso duro, un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro… Le masturbazioni cerebrali le lascio a chi è maturo al punto giusto, le mie canzoni voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto”.

Augusto, Victor e Pierangelo, pur essendo assai diversi l’uno dagli altri, avevano in comune l’appartenenza a quella scuola che si è soliti definire “tra la via Emilia e il West”: erano nati rispettivamente a Novellara, Modena e Sassuolo. Erano tre persone dal carattere forte, determinate, coerenti. Si sono fatti le ossa nelle balere, quindi avevano spalle larghe e sapevano come trasmettere le proprie emozioni alla gente. Con loro non è morta la musica, ma se ne sono andati tre pezzettini di un  periodo in cui per la musica e i musicisti ben più importanti del marketing (all’epoca parola semi-sconosciuta) erano le cosiddette good vibrations.

P.S.

Il titolo che ho scelto per questo post è quello di una canzone che Ligabue scrisse per Stefano Ronzani, giornalista che non era emiliano, né morì il 7 ottobre. Comunque non è una scelta casuale, infatti Stefano ideò assieme al collega Fausto Pirito Nomadincontro, un tributo ad Augusto Daolio che a partire dal 1993 si svolge nel mese di febbraio a Novellara: il cantante dei Nomadi era nato il 18 febbraio 1947, quindi con questo tributo è un po’ come se si festeggiasse il suo compleanno.

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