Lubo
di Giorgio Diritti
con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noémi Besedes, Cecilia Steiner
Da un orso falso che danza in una piazza di paese emerge Franz Rogowski che suona una fisarmonica. È Lubo, uno jenisch, cioè uno zingaro bianco che vive nei carrozzoni a cavalli in una Svizzera che prepara ai confini soldati per la seconda guerra mondiale (a cui non parteciperà). Lubo viene arruolato, sua moglie muore per la violenza con cui le strappano i figli destinati un programma di integrazione forzata: nella vicina Austria i nazi avanzano e Lubo diserta, uccide con la ferocia di un orso un misterioso trafficante che fugge dall’Austria, ne prende l’identità, i vestiti, l’auto e si ritrova ricchissimo in soldi , stoffe e gioielli che usa per cercare i figli dispersi in istituti o affidati a famiglie contadine. Come gli viene predetto avrà molti amori, molti affari e molti viaggi: ma la giustizia lo raggiunge nel dopoguerra perché il misterioso trafficante ucciso nel bosco spostava i capitali di un gruppo di famiglie ebree in fuga dall’Austria e tutte le tracce portano a Lubo. Che è carcerato per diserzione e falsa identità, ma non per l’omicidio. Lui propone alla giustizia uno scambio che porterà a uno scandalo nella confederazione elvetica sul destino dei bambini separati dalle famiglie e spesso affidati a pedofili. Il film di Giorgio Diritti (Il vento fa il suo giro, L’uomo che verrà, Volevo nascondermi) è una bella storia di quelle che piacciono a lui sulle vie misteriose della vita di un non integrato folle, raccontata con tempi forse troppo dilatati, laterali e disobbedienti alla logica di consumo, ma con fascino. Dall’ultimo festival di Venezia
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