Presentiamo le ultime uscite di artisti d’antan come la band assemblata da Joel Ricci per le storiche registrazioni del 2011, artisti emergenti come la canadese Aphrose e artisti rodati e creativi come gli Angels of Libra che lanciano la debuttante Maiiah. Insieme ci illustrano le più varie sonorità della black music, scelte sia tra quelle codificate nel tempo sia tra quelle nate mettendosi in gioco a miscelare e inventare.

The Funk Revolution
Don’t Go Away + Space Dream (Tramp)
Voto: 8
La leggenda vuole che Joel Ricci abbia trovato il suo sound mentre viaggiava in treno da Parigi al sud della Francia per andare a trovare la famiglia. Era il 2001 e il trombettista/compositore di Seattle, che si faceva chiamare Lucky Brown, era in giro per l’Europa “alla ricerca del funk”.
Era stato a Londra, dove lo avevano entusiasmato le serate del mitico dj Keb Darge da Madame Jojo, durante le quali nasceva il deep funk, e quelle al Camden’s Jazz Cafe con The Poets of Rhythm, The Breakestra, The Sugarman Three, Mark “Snowboy” Cotgrove e altri. A Parigi invece suonava la tromba al Cithea, locale specializzato in jam session di rare groove, dove si esibivano anche gli allievi del formidabile batterista nigeriano Tony Allen (scomparso nel 2020) che mescolavano il funk più intenso all’afrobeat improvvisato e libero, inventato da Tony stesso con il grande Fela Kuti.
Tutta questa poliritmia creativa e ispiratrice vorticava nelle orecchie di Joel quando il rumore delle ruote del treno, quel tipico “clack-clacka”, si sommò ad essa e lo portò, appena arrivato a un pianoforte, ad annotarla su uno spartito, aggiungendo la linea del basso e della sezione dei fiati.
Seguirono poi a Brooklyn gli incontri con i membri degli Antibalas, Binky Griptite & The Mellomatics e i Dap Kings, per affinare il tutto e farlo scaturire in quelle che sono diventate le favoleggiate Space Dream sessions del 2011, registrate un po’ in studio un po’ nella capanna di tronchi del batterista Olli Klomp vicino a un lago di montagna. Quattordici dei brani registrati finirono nell’album Lucky Brown’s Space Dream, attribuito a Crawdad Farmers e The Funk Revolution.
Oggi molte di quelle sessioni, riprese e rimasterizzate, sono diventate, con un artwork nuovissimo, due LP intitolati Don’t Go Away e Space Dream.
Le differenze, oltre a qualche ripulitura, sono i quattro brani inediti Lucky Seven, Fireball, Scarlet Runner e Forever e la crasi di Potatocakes e Steamed Greens, che nel cd di 12 anni fa erano presentate divise in due parti. (Per i più curiosi va detto che il singolo con Space Dream e Scatterbrain, firmato Lucky Brown e uscito da poco, contiene due versioni differenti da quelle sugli LP, più scarne e dirette.)
Joel, che è tuttora attivissimo in particolare con le serate e i dischi targati Funkways, e i suoi collaboratori – Isaac Weiser e Johnathan Sherman al basso, Delvon LaMarr all’organo, il fiatista-chitarrista Thomas Deakin, Mars Lindgren al trombone, Ben Bloom alla chitarra e Klomp – ripercorreva i territori intriganti e infuocati del deep funk più sfrenato, di un soul jazz più convenzionale, di un raw funk energetico, di un errebì anni 60 e di momenti più lenti e suadenti. Sono versioni per lo più lo-fi e crude di 15 brani di uguale impatto e spessore, capaci sia di farti muovere nelle dancefloor fino a spezzarti i tendini che a coinvolgerti nella lussuria più goduriosa.

Maiiah & the Angels of Libra
Maiiah & the Angels of Libra (Waterfall)
Voto: 7/8
La storia degli Angels of Libra continua. Vi avevamo raccontato qui la genesi e i primi sviluppi di questo ensemble che ricorda un po’ le formazioni tipo Mar-Keys della Stax oppure i Funk Brothers della Motown, che suonavano un po’ con tutti i cantanti delle rispettive etichette. Oggi siamo al loro nuovo, terzo episodio, di cui è coprotagonista, oltre alla formazione messa insieme dal chitarrista e mago del suono Dennis Rux, una delle tre Librettes, Marija Samardžic aka Maiiah.
La vocalist croata ha fatto parte di diverse formazioni e progetti, come Las Balkanieras, con un certo successo nel suo Paese e tournée in tutta Europa e Asia, poi, emigrata con la famiglia a Düsseldorf, The Jump Blues Syndicate, The Rhythm ‘n’ Shake e altri. Il suo ultimo trasloco la porta ad Amburgo alla corte degli studi di registrazione Yeah Yeah Yeah di Rux chiamata per offrire la voce a progetti altrui.
Oggi assistiamo al suo debutto come titolare e come compositrice, dato che firma tutti i brani insieme al gruppo a eccezione dell’inno femminista (e soul blues) di Barbara Lynn I’m A Good Woman, cantato con voce spiegata. Tra le nove track restanti ci sono gli altri già noti singoli Obey, rigorosamente sixty con coro femminile annesso, No No No (I’m So Broke) dalla tipica esplosività, un po’ musical un po’ cinematografica, di certo errebì di scuola Motown, in cui Maiiah ricorda i giorni duri di quando lavorava in un albergo, e Kava, dal testo in croato e la musicalità funky caraibica che fa saltare e ballare.
Le altre sei si muovono con andamento variabile in accelerazione rispetto all’iniziale I Can’t Get Over Loving You, una suadente ballad soul vecchio stile, e alla chiusa Infinity dal sapore gospel. Ad esempio la strumentale Turn The Page suonerebbe benissimo in un album di uno dei top artist di acid jazz contemporaneo, grazie alle tastiere onnipresenti dell’ospite Carsten “Erobique” Meier prima e dei fiati in parata degli Hamburg Spinners poi. Così come altrettanto vibrante è il convincente rhythm & blues midtempo Please Come Home.
Interessanti anche i testi, intrisi di problematiche quotidiane e di ricerca dell’autorealizzazione in un mondo avverso, cui la voce non sempre aderisce con pathos, preoccupata soprattutto di una bella esposizione, come si addice a un’ottima corista che ha ancora bisogno di “sporcare” e personalizzare il suo sfoggio canoro, che segna il meglio in I Wanna Go, in cui appaiono persino influenze arabeggianti, e in Plenty Of Life, un variegato ed espressivo canto di reazione alle avversità della vita.

Aphrose
Roses (LRK)
Voto: 8
È proprio una brava ragazza Joanna Mohammed, legatissima alla famiglia – come nome d’arte ha scelto quello della mamma Aphrose e dedica la title-track e tutto questo suo secondo cd alla nonna – e agli amici più cari – come produttori e coautori di gran parte dei brani ha scelto gli SafeSpaceship Music del compagno di college Scott McCannell, tastierista e bassista (e di Santino Da Villa, batterista e tastierista e Ben Macdonald, tastierista e sassofonista).
Attiva da oltre 15 anni nella scena musicale di Toronto, Joanna è cresciuta nel negozio di dischi dei suoi genitori, originari di Trinidad, ascoltando Motown e gospel, soca (soul + calypso) e reggae, country e disco. «Sebbene questi generi musicali siano così diversi l’uno dall’altro, ho trovato nel songwriting uno dei fattori unificanti. Sono sempre stata una fanatica di un buon ritornello», dice, affermando la sua voglia di comporre.
Inoltre ha affinato la voce proponendosi come corista a fianco di personaggi quali Daniel Caesar, Lee Fields & The Expressions, Nikki Yanofsky e Charlotte Day Wilson, prima di debuttare da solista con una manciata di singoli e poi l’album Element del 2019.
Oggi ritorna con questo Roses a raccontarci dell’amore per la nonna mancata da poco, delle vicende famigliari, della finzione che ci circonda ogni giorno, della piccolissima figlia e delle difficoltà di essere genitori oggi, con testi carichi di pathos e passione. Soprattutto con una vocalità elegante e cesellata, senza fronzoli e senza increspature, nitida sia nelle ballad neosoul più intense come la conclusiva ZAG, le iniziali del nome della sua bimba, il cui battito fetale apre il brano, sia nelle tracce rhytm‘n’dance di michaeljacksoniana discendenza come YaYa.
Completamente in black anche le altre 10 proposte, che intrecciano diversi panorami sonori con grande classe, passando dall’influsso di icone come Aretha Franklin a quello di contemporanei come Frank Ocean.
L’iniziale Roses è una variegata ballata di attualissimo errebì, con la voce della nonna in apertura. In The Time Of Sorrow presenta la voce al suo top, così come Honey (Don’t) Come Back, cruda e solida all’inizio per poi sfoderare un moderno funk. Solo la chitarra di Heater Crawford e il canto disegnano l’emozionante What You Don’t See.
Weapons è una perfetta ballata soul con il piano di Adrian Hogan, il coro di artiste note come Claire Davis, Nevon Sinclair, Kyla Charter, Lydia Persaud e Marla Walters e gli archi arrangiati dalla brava Jessica Hana Deutsch. Soft Nuclear ruota tra electro soulful e coralità alla SWV. Good Love, il singolo di presentazione del cd, è il brano più omologato con il ritmo in crescendo e il solito sax struggente a chiudere, mentre Higher è quello più volubile e pazzerello, chiaro debito nei confronti del mai troppo compianto Prince.