Canzoni, racconti e fotografie ispirate a Gianmaria Testa

Il cantautore Paolo Gerbella, il giornalista-scrittore Guido Festinese e il fotografo Maurizio Logiacco dedicano il ricco cd-book “Schiena dritta” al cantautore piemontese prematuramente scomparso otto anni fa.

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foto di Maurizio Logiacco

È stata una ricerca e un’opera nata quasi a cascata, come scrivono sulle note del cd-book Schiena dritta. Per Gianmaria Testa. «Costruiti attorno ai ricordi dell’amico scomparso e imperniati sulle parole-chiavi che ricorrono nella sua opera, i racconti di Guido Festinese hanno fatto da innesco per le canzoni originali di Paolo Gerbella, che dilatano e rilanciano quegli stessi orizzonti di vita e poesia sui quali, con una forza di rara eleganza, si è posato anche l’obiettivo di Maurizio Logiacco.» Ovvero stiamo ascoltando un disco-tributo che è molto più di un semplice disco, perché, nelle 38 pagine del libriccino inserito nel packaging, si possono leggere nove racconti-ricordo e una poesia del giornalista e saggista e otto intensi e grumosi scatti in bianco e nero del fotografo. Non solo, le 11 canzoni del cantautore e scrittore costituiscono il suo quarto album da solista, senza nessuna reinterpretazione delle canzoni di Testa.

Allora che tributo è? In che maniera questo Schiena dritta «si configura come un sentito omaggio a un autore gentile che si è conquistato un posto di rilievo nella storia della canzone italiana»? Per rispondere iniziamo dal principio, da Testa. Piemontese, originario della Provincia Granda, nato in una piccola frazione del cuneese, da una famiglia contadina: «Si lavoravano i campi veramente, è qualcosa che ti rimane quando affondi le mani nella terra», amava ricordare. A 13 anni si fece regalare per il compleanno una chitarra. «Non ebbi il coraggio di chiedere un pianoforte», continuava in un’intervista concessa al collega Giulio Cancelliere poco tempo prima di quel 30 marzo 2016 che ce lo portò via a soli 57 anni. «Da solo imparai qualche accordo e composi le prime canzoni. Come e perché non lo so. Lo feci. Poi venne l’esperienza dei gruppi rock, come per tutti, ma anche il desiderio di esprimermi con un mio linguaggio personale, che attingesse dai generi musicali che mi piacevano. Il mio percorso “canoro” parte dall’Ave Verum di Mozart, lo cantavo nel coro della chiesa, dove mettevo anche le mani sull’harmonium a pedale, che aveva un suono colossale nelle navate.»
E ancora specificava. «Poi si cantava nei campi e mi sono rimaste dentro anche quelle melodie. Quindi il jazz, il tango, la bossa, i cantautori e così via. La prima volta che mandai un pezzo a un concorso fu al Premio Tenco e la buonanima di Rambaldi mi stroncò personalmente, dicendomi che la mia non era nemmeno una canzone, ma una poesia camuffata. Ci rimasi malissimo. Poi vinsi due edizioni consecutive del Festival di Recanati. La seconda volta un giornalista diede una mia cassetta a una produttrice francese che mi procurò il primo contratto con la Label Bleu e pubblicai Montgolfières nel 1995. E il resto è storia.» Che decolla con il concerto al mitico Teatro Olympia di Parigi quando era ancora pressoché sconosciuto da noi.

L’omaggio di Festinese consiste nel farne il protagonista dei suoi racconti, che sono squarci sulla vita di Gianmaria, sulla sua poetica, sul suo sentire. Quello di Logiacco è un obliquo guardare il mondo, quasi laterale, quasi immerso nel buio, quasi senza gioia, quasi offuscato dalla nebbia, quasi senza tempo, come le canzoni minime, ma quanto mai dilatate di Testa, dalle mille, piccolissime sfaccettature sonore e insieme con una sola dimensione, la profondità.

Guido Festinese, Paolo Gerbella e Maurizio Logiacco

L’omaggio di Gerbella – specificamente musicale – sta nel riprendere quello stile espressivo promiscuo, che in Italia ha come paragone i soli fratelli Conte, Giorgio e soprattutto il grande Paolo. Sta nel seguire quelle orme così diverse dalle sonorità attuali, dagli autotune, dalla dance spicciola e dal pop-rock schematizzato che ormai anche i cantautori masticano a gogò, per scegliere, ad esempio, la tromba sublime di Paolo Fresu, uno dei jazzisti più famosi d’Italia che ebbe modo di suonare anche con Testa, per corroborare le sue canzoni solide e poetiche, in cui si riconoscono venature popolaresche, suggestioni latine, la fisarmonica musette (in mano al bravo Julyo Fortunato, che è anche arrangiatore del tutto, insieme al contrabbassista Paolo Priolo), delicatezze raffinate e un sapore francese old style alla Brel, alla Brassens.

La poetica di Gerbella, che già nel 2015 aveva dedicato l’album Io, Dino alla figura del poeta Dino Campana e nel 2019 si era fatto apprezzare per La Regina, ispirato allo sciopero dei portuali di Genova contro la chiusura della locale Camera del Lavoro, è immediata, totalmente priva di retorica, avviluppa con i suoi toni a volte maschi, a volte vellutati, sempre pieni di grande discrezione nell’affrontare le tematiche che sottesero la vita di Testa: la vita come viaggio in “Ulisse” e come musica e parole in Gli alberi di canto, l’universo contadino in L’odore e l’essenza, il senso della misura in Da qui a lì, l’invenzione di mondi in Il costruttore, lo spremere la vita in Denso, il senso dell’equilibrio in La trapezista, la ferrovia (fece il capostazione a lungo) nella conclusiva Stazioni.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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