Dune – Parte due
di Denis Villeneuve
con Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Anya Taylor-Joy, Stellan Skarsgård
La seconda tranche della versione Villeneuve dell’opera di Frank Herbert è tutta su Arrakis, il pianeta della Spezia (la Spezia è la droga che serve a orientarsi nello spazio senza computer), pianeta tolto dall’imperatore ai fini Atreides e dato ai rozzi Arkonnen. Paul degli Atreides vince progressivamente le resistenze dei guerrieri Fremen del deserto e non solo trova l’amore di Chani ma viene ufficialmente riconosciuto per le sue doti di combattente come Mahdi, l’uomo della profezia che (non tutti) aspettavano. Sono tre ore tra la sabbia rovente e l’acqua centellinata, rubata dai corpi dei morti o consacrata per un futuro che spaventa Paul con visioni di guerra totale. Un Lawrence d’Arabia galattico incrociato con Neo di Matrix con le varianti matriarcali degli intrighi delle madri Beni Gesserit che gestiscono liquidi letali per i maschi ma non per i Mandati da Dio. E poi la madre di Paul, che ha in pancia una sorellina dal futuro molto interessante, è stata consacrata Madre anche dai Fremen. Un talebano della cancel culture potrebbe obiettare che è l’ennesima opera colonialista in cui (se non fossimo in un futuro remoto) un bianco risolve i problemi degli indigeni e li pilota per la conquista del potere . C’è persino una rivelazione che fa molto antico regime: tutti i regnanti sono imparentati. Detto ciò gli effetti speciali sono come te li aspetti (Villeneuve deve avere il copyright delle astronavi che restano sospese in verticale), i lettori di Herbert sembrano contenti e l’elettronica esagera nella moltiplicazione degli eserciti, però l’effetto Guerre Stellari è annullato dal fatto che qui non c’è un Harrison Ford che ti fa sorridere. Belle le cavalcate sui vermi giganti del deserto alla maniera dello sci d’acqua (ma, dice la Profezia, un giorno lì sarà tutta acqua). Per sapere cosa esce dalla pancia della mamma del Profeta bisogna aspettare la terza puntata. Forse.
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