Permettetemi un ricordo personale. Sembra un secolo fa il primo articolo “professionale” di chi scrive fu un’intervista al compianto Raoul Casadei, che anche lui per la prima volta appariva su un settimanale dedicato alla musica giovanile, Nuovo Sound. Per chi, come il sottoscritto, è originario della terra di Romagna il “re del liscio” è sempre stato un personaggio verso cui essere riconoscenti per aver rilanciato e portato all’attenzione nazionale un genere che aveva bisogno di essere approfondito.
Nato nell’800 sulla scia dei grandi balli di valzer, mazurka, polka, ispirato anche alla musica classica di Johann Strauss, portando a livelli borghesi – e poi inevitabilmente sostituendo – coreografie assimilabili a quelle dei minuetti e delle danze di corte. Il suo arrivo in Italia si è subito mescolato con le diverse tradizioni danzerecce popolari, che erano soprattutto rurali. Il risultato è stato il modificarsi e l’adattarsi nelle diverse regioni e a confronto con diverse strumentazioni. Partendo da piccoli ensemble di violini e/o mandolini e/o fiati tradizionali, il liscio ha introdotto nuovi strumenti, soprattutto la fisarmonica e i sassofoni, per poi confrontarsi con altri generi da ballo figurato, come il tango e il paso doble, e comunicare con la canzone “leggera” ma anche con il jazz.
Raoul – e adesso suo figlio Mirko, che ne ha ereditata l’orchestra e l’ha fatta veleggiare verso un folk-pop super contaminato – è stato l’ultimo e più noto di tutti tra i grandi elaboratori ed esploratori del genere: dallo storico Giuseppe Cantoni a Leonildo Marcheselli, dal fisarmonicista Peppino Principe al sassofonista Germano Montefiori, fino ai “maestri” dello stile romagnolo Carlo Brighi e Secondo Casadei, autore della classica Romagna mia.
Nel 1995 l’organettista Riccardo Tesi, uno dei grandi della nostra world music, e il sassofonista Claudio Carboni hanno proposto in un album apprezzatissimo titolato Un ballo liscio la loro ricerca musicale attorno a questa danza, che finalmente veniva rivalutata come fenomeno culturale e ripresentata con formazioni e arrangiamenti che attenevano strettamente alla modernità. Oggi si ripresentano con Un ballo liscio vol. 2, che li vede allargare l’organico (con elementi provenienti sia dal folk che dal jazz e dalla classica, oltre che dallo stesso liscio) e proporre un repertorio eterogeneo, al fine di superare ogni barriera stilistica e preconcetta e di proporre aspetti meno conosciuti del genere e marginali rispetto al suo mercato attuale.
A 70 dal lancio di Romagna mia, l’album si apre proprio con una sua riproposizione sottile e intima, pizzicata e in lieve crescendo, con la voce di Tosca (che è protagonista anche nel tango Cielo azzurro del tedesco Joe Rixner, datato 1936) e il quartetto d’archi Alborada, con il solista Anton Berovski. È l’inizio di un viaggio che unisce la bellezza delle melodie e il virtuosismo strumentale, il gusto per combinazioni timbriche suggestive e un’articolazione delle frasi sonore elaborata sul gusto della tradizione folklorica.
Come nuove letture di liscio ortodosso il cd propone Chimere del fisarmonicista Carlo Venturi, che vede il duettare dello strumento a mantice con il clarinetto del jazzista Nico Gori, “Autunno”, in versione minimalista con sax soprano, chitarra acustica e il contrabbasso di Roberto Bartoli, e l’incontro “sentimentale” tra Primavera e Federico di Montefiori.
Le combinazioni più vicine al sound mediterraneo del liscio emergono sottili in Verde luna, cantata da Geri, e nel centenario e celeberrimo paso doble Espana Cani. Se conoscevamo la prima, dell’iberico-statunitense Vicente Gómez, noto autore di colonne sonore (tra cui il successo Sangue e arena con Tyrone Power e Rita Hayworth), nella versione in lingua originale di Nilla Pizzi, la seconda è il brano che immediatamente rimanda alla festosità della Spagna e delle sue danze.
Le mazurke sono Scabrosa del calzolaio clarinettista Antonio Frazzi della seconda metà del XIX secolo e Mazurka, ritrovata sull’Appennino Bolognese dal grande studioso Alan Lomax, sono tra i gioielli del cd. La prima in una dimensione quasi orchestrale, piena di lirismi ai limiti dell’estetismo; la seconda, scarna e lirica, con i soli organetto e pianoforte.
Ci sono anche momenti più intimi e incantati, come A gramadora, che è quasi una ballata d’amore con la voce del chitarrista Maurizio Geri e l’organetto di Tesi, oppure Laguna addormentata dell’inglese Eric Coates, cui la tromba di Paolo Fresu, gli archi e il pianoforte di Maurizio Tagliata, danno un andamento sinuoso e raffinato.
Infine Valzer di mezzanotte (di Frank Amodio, noto per i brani in occasione della morte di Rodolfo Valentino e contro la condanna di Sacco e Vanzetti) trasporta in un sogno più padano che viennese, con le deliziose ocarine di Fabio Galliani, mentre il Valzer numero 1 del maestro Carlo Brighi precede, con il suo raffinato dialogo tra clarinetto e archi, la chiusura brillante e in crescendo della Quadriglia 2, unica composizione originale dei bravissimi titolari di questo prezioso album.