In volo con Fred Hersch

L’ultimo album del raffinato pianista jazz americano è una sorta di ambiziosa suite lirica, di intensa grazia espressiva e di affascinante eleganza. Ne abbiamo parlato con il protagonista.

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© Roberto Cifarelli/ECM Records

Alcuni giorni fa, durante una chiacchierata con Enrico Rava, il jazzista italiano più famoso nel mondo e uno dei maggiori trombettisti viventi, abbiamo avuto modo di chiedergli il suo parere sul delizioso pianista americano Fred Hersch, con cui il maestro triestino ha inciso il suo (e di Hersch) penultimo album.
« Fred mette giù un accordo e il suo suono è talmente incredibile che sembra porgermi un tappeto volante, su cui io salgo per destinazioni ignote», dice Rava. «La prima volta che ho suonato con lui a Pescara personalmente non ci conoscevamo neanche, conoscevamo le rispettive musiche, ma poco. Avremmo dovuto fare una prova il giorno prima, ma ci siamo sbagliati e siamo arrivati nel luogo dove dovevamo provare all’orario sbagliato ed era già tutto chiuso. Quindi la prova reale è stata il concerto, eravamo anche preoccupati, ma dal primo momento sono salito su quel tappeto volante e mi sono sentito assolutamente rilassato, felice, dentro la musica, con la coscienza di star suonando con uno che era sintonizzato esattamente su quello su cui ero sintonizzato io.
Qualunque cosa io facessi, qualunque input immettessi, ricevevo subito un controinput stimolante. È stata una serata pazzesca e da quel momento abbiamo fatto tantissimi concerti, che purtroppo si sono interrotti nel 2021, in piena estate, perché ho avuto un tumore al polmone. Avevo già fissato di registrare il disco con lui a novembre, però dopo l’operazione, da agosto per tre mesi, sono rimasto senza suonare. Non volevo rimandare la registrazione, perché l’etichetta ECM è molto rigida nei tempi, avendo un sacco di cose da fare. Magari avrei dovuto aspettare un altro anno.
Ho provato qualche giorno prima a rimettere lo strumento in bocca e poi sono arrivato a Lugano nello stupendo Auditorium della Radio della Svizzera Italiana. Ero insicuro, pensavo “semmai dopo due o tre note dirò scusate non ce la faccio”. Dove registravamo c’è uno degli Steinway più belli d’Europa e appena lui l’ha toccato e fatto un accordo, una nota, mi sono sentito da dio. Praticamente abbiamo registrato tutto first take, senza rifare niente, eravamo felici come pasque. Contenti sia io che Fred. Anche il nostro produttore Manfred Eicher, che è un tedesco freddo, mi ha telefonato almeno dieci volte per dirmi che il disco era un capolavoro. Forse è stata proprio la reazione al mio problema che mi aveva preoccupato non poco, e anche lui, che adesso sta bene, è stato in coma sei mesi e con l’hiv ha avuto problemi pazzeschi. E anche Eicher aveva avuto qualcosa che adesso non ricordo. È stata una sorta di rinascita, siamo ancora vivi, stiamo suonando, facciamo un disco. Io sento fortissimo questo ed è un disco che mi piace molto.»

© Roberto Cifarelli/ECM Records

The Song Is You, il disco in duo uscito nel 2022, piace molto anche a noi. Lavoro di rara eleganza, a volte cauta e misurata, altre piena di approcci e rimandi diversi, costruita su un’improvvisazione composta e misurata che denota sempre uno scambio sintonico e aperto. Allo stesso modo ci piace l’ultimo lavoro del pianista di Cincinnati, Silent, Listening, che lo vede solitario dietro lo stupendo piano Steinway di Lugano. Lo abbiamo intervistato.
Qual è il significato del titolo del tuo nuovo cd Silent, Listening, che suona quasi come un comando?
«Abbiamo bisogno del silenzio per avere il suono. Non è un comando, più un invito. Sento di essere stato molto paziente in questo album e di aver lasciato che ogni frase emergesse organicamente dal silenzio e dalla magnifica acustica dell’Auditorium della Radio Svizzera. C’è spazio qui, e forse un po’ di saggezza dopo aver suonato per 50 anni: non avrei realizzato un album come questo nemmeno cinque anni fa. E ovviamente Manfred Eicher ha portato così tanta esperienza nella registrazione e mi ha aiutato moltissimo a lasciar vagare liberamente la mia immaginazione.»
Ritorni a un album di pianoforte solo trent’anni dopo il tuo primo. Com’è cambiato il tuo rapporto con il pianoforte da allora?
«Spero di essere migliorato! Il mio “stile” di suonare più voci con attenzione al timbro, al colore e al dettaglio si è evoluto nel corso di questi anni. Ho avuto un punto fermo nella mia vita per un anno nel 2008, quando sono rimasto in coma per due mesi e ho dovuto imparare di nuovo tutto: deglutire, mangiare, camminare e, ovviamente, suonare il piano. Penso di essere emerso ancora più sciolto e libero nel mio modo di suonare da allora. Continuo a trovare ispirazione nelle grandi registrazioni delle leggende del pianoforte classico e del jazz, nonché dei miei colleghi che si esibiscono oggi.»
Questo album trasmette una sensazione di tranquilla introspezione, lasciando che la mente e la musica vadano dove vogliono, come un flusso di coscienza. Quando suoni immagini l’effetto che la tua musica avrà sul pubblico e cerchi in qualche modo di “influenzare” gli ascoltatori oppure lasci che il fiume della tua sensibilità e ricchezza espressiva scorra senza argini?
«Spero che gli ascoltatori siano “dentro” ogni frase sonora insieme con me, e che lo siano come lo ero io quando le ho suonate. Questo album è fluido ed è progettato per essere ascoltato tutto d’un fiato, poiché tutte le tracce si sviluppano una sull’altra per creare una sorta di film musicale.»
Fred Hersch ha costruito in Silent, Listening una sorta di ambiziosa suite lirica, con melodie cesellate e arrangiamenti “stilosi”, un pianismo liquido e sofisticato nel fraseggio, un intreccio di temi di intensa grazia espressiva e di affascinante eleganza. E conferma, oltre all’assoluta padronanza tecnica dello strumento, la meritata fama per le sue performance delicate e per il suo modo di suonare, in cui traspare sempre l’adesione funzionale alla ricerca evansiana di emozioni da vivere in sintonia con l’ascoltatore.
Infine, per tornare all’inizio di questo articolo, gli abbiamo chiesto.
Ha registrato il precedente cd in duo con Enrico Rava. Conosce il jazz italiano e cosa ne pensa?
«Ci sono grandi musicisti in ogni paese d’Europa e lo sono da molti anni. Enrico è un vero maestro e amatissimo dagli ascoltatori jazz italiani (e internazionali) ed è sempre un onore suonare con lui. E negli anni ho ascoltato degli ottimi pianisti italiani!»

Raffaello Carabini
Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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