La rossa – nel senso della chioma – Jessica Greenfield, che i più scafati avranno già avuto modo di ascoltare al fianco di “personaggini” del calibro di Paul Weller e Steve Van Zandt della E Street Band di Bruce Springsteen, Richie Sambora e i Take That, John Illsey dei Dire Straits e Sir Rod Stewart – inchino, please – oltre a saperla tuttora parte degli High Flying Birds di Noel Gallagher, è un tipetto iperattivo. Oltre agli “uccelli che volano alto” offre la sua personalità di cantante, tastierista e autrice anche al gruppo jazz hip hop The Herbaliser (è lei la Jessica Darling del cd Same As It Never Was) e, fino all’imperversare della pandemia e a una sua depressione post partum, era nel sofisticato duo pop-soul The Kondoors.
Non solo. Da qualche mese ha preso per mano una nuova band di giovanotti londinesi, dando vita ai Wonder 45. I giovanotti possiedono tutti gli attributi giusti s’intende, dato che, presentiamoli, Ross Ewart (chitarra), Chris Nickolls (batteria) e Steve Pringle (tastiere) erano stati riuniti dal produttore/autore Holley Gray come band di studio per le registrazioni sue e dei suoi “assistiti”. Al mix finale a sei, Holley al basso e al glockenspiel compreso, partecipa anche l’altra metà dei Kondoors, ovvero il cantante e autore Gavin Conder, che di Jess è il marito.
I Wonder 45 debuttano oggi su cd con nove brani che li vedono muoversi a zig zag attraverso la storia della soul music, combinando la lezione dei maestri – diremmo in particolare Al Green ed Etta James – con l’attenzione verso gli artisti contemporanei che si muovono in territorio black, come Erykah Badu e i Black Pumas. Il loro primo singolo è del maggio 2022 porta lo stesso titolo del cd appena uscito (che lo contiene) Wonderland ed è stato definito dalla prestigiosa rivista Blues & Soul «una lenta costruzione, una suprema fetta di soul vintage lavata nel riverbero e adornata con fiati pesanti, grassi e imperiosi».
Il successivo Superman è stato presentato in un brillante concerto dello scorso gennaio e l’edizione indiana di Rolling Stone ne ha parlato come di «un capolavoro di dinamiche musicali, che fonde senza sforzo la grinta terrena del blues con la forza trainante del rock». Il terzo è stato Cry, apprezzatissimo dalle radio, BBC 2 in primis, e apre il cd con il suo errebì emozionale e il testo angoscioso, sorretto dalle tastiere volteggianti e ancora dai fiati di Paul Jordanous (tromba), Tom White (trombone), Matthew MacNaughton e Chris Rand (sassofoni) e dalle percussioni di Mark Claydon.
Poco prima del cd è uscito l’altro singolo Make It Happen, è un favoloso tourbillon di colori e immagini, di fiati e di voci, di percussioni e forza espressiva, come scrive Poetic Justice, «è un energico invito all’azione ed è stato scientificamente provato che è efficace nel trattamento della letargia». Invece il 7inch destinato a seguire l’album è Nothing’s Gonna Change, un soul retrò che parla d’amore come la quasi totalità dei nove brani e lo fa stavolta in maniera rassicurante e confortante, con una grande prestazione vocale di Greenfield.
Gli altri quattro brani non hanno nulla da invidiare a questi. Si muovono con melodie accattivanti nel mare magnum del soul degli ultimi settant’anni, passando dalle intriganti ballad romantiche (Round And Round) agli strumentali intrisi di blaxploitation e chitarre wah wah (Intermission), dai momenti da batticuore con echi gospel (Green Light) alle rincorse e frenate tipicamente rhythm & blues (Into The Fire). Il tutto a sottolineare perché la band è stata definita senza tema di smentita “i Joe Cocker del XXI secolo”.