Locarno 2024. Raíz, Fario e Bogancioch

Tre film che scavano nella terra e nell'animo

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Raiz

Raíz di Franco Garcia Becerra
Fario di Lucie Prost,
Bogancioch di Ben Rivers

di Gabriele Eschenazi

Siamo tutti ubriachi di tecnologia. Abbiamo in mano un potere che abbiamo sempre sognato: premere un bottone e vedere una persona lontana, comprare all’istante un oggetto, ricevere una risposta immediata a una qualunque domanda, catturare per sempre un’immagine di vita, ricevere del cibo sul tavolo. La vita sembra terribilmente facile, ma tutta questa sarabanda sta togliendo qualcosa a noi e a qualcun altro, che non conosciamo. Tre film del Festival di Locarno, 77esima edizione, ci aprono gli occhi in questa direzione dotandoci anche di guide educate ed educative. 

Raiz

In Raíz di Franco Garcia Becerra (sezione Open Doors) Feliciano, pastore di alpaca di otto anni, è un appassionato di calcio: ha chiamato Ronaldo il suo animale preferito che coinvolge nel suo tifo sfegatato per la qualificazione del Perù alla Coppa del Mondo. C’è sintesi tra vita pastorale e spettacolo sportivo osservato da un piccolo tv. Ma una compagnia mineraria viene a mettere in pericolo i suoi sogni e il suo equilibrio. Bulldozer si apprestano a scavare per cercare quei minerali rari, che tanto servono ai nostri dispositivi. I pastori si ribellano all’invasione e all’inquinamento dei terreni e del lago. I primi a pagare sono i lama uccisi senza scrupoli. Feliciano cerca disperatamente il suo Ronaldo con il suo fedele cane Rambo. Alla fine lo trova. Il suo Perù si qualifica. La battaglia continua. 

Fario

Metalli rari sono al centro degli interessi contro i quali si trova a combattere Lèo, giovane protagonista di Fario, della regista francese Lucie Prost (Cineasti del Presente). Torna dopo anni di vita a Berlino nel suo villaggio francese per vendere i terreni ereditati dal padre. Peccato che li stia per trasferire a un’azienda che ne farà un pessimo uso: trivellazione per cercare metalli rari. Il conseguente inquinamento del fiume sta per inquinare anche la sua anima, i suoi sentimenti verso il padre, la madre e la sorella minore con le quali va a convivere. Lèo non si arrende, affronta i suoi ricordi, i suoi sentimenti e la realtà avvelenata che si trova di fronte. Analizza le acque inquinate in un laboratorio improvvisato con l’appoggio di un’amica di infanzia, che lo aiuta anche a liberarsi dalle droghe, con le quali cerca di tenere sotto controllo le sue crisi di panico. 

Il protagonista guarda dentro sé stesso e contemporaneamente dentro la società che lo circonda. Un processo di introspezione che ci coinvolge direttamente.

Bogancioch

E se il rapporto con lo sviluppo è problematico per un giovane come Lèo, non lo è da meno per l’anziano Jake Williams, eremita, che vive da quarant’anni in una roulotte in una foresta delle Highlands scozzesi. È lui il protagonista reale di Bogancioch diretto dall’inglese Ben Rivers e presentato nella sezione Concorso Internazionale pur essendo in parte un documentario. Bianco e nero, 16 e 35 mm sottolineano ancora di più l’effetto straniante per lo spettatore, che inizialmente fatica a comprendere la routine di Jake fino a capire che la sua routine è anche la nostra. Siamo contaminati dall’ansia dell’accumulo di oggetti, esperienze, persone (social network, rubriche telefoniche chilometriche). Il «mondo reale» entra nella vita dell’eremita in forma surreale con l’apparire di personaggio esterni come un gruppo di cantori. Jake non si scompone mai, non è a disagio e trova il massimo del piacere in un bagno caldo in una vasca all’aperto, nel quale «si esibisce» verso la fine del film. 

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