2073
di Asif Kapadia
C’era una volta La Jetée di Chris Marker: la jetée sarebbe il molo d’imbarco di un aeroporto. In piena nouvelle vague, 1962, diventa la rampa di lancio di un film di fantascienza fatto solo di fotografie con un commento: la storia di un disastro nucleare a cui si può porre rimedio mandando qualcuno avanti o indietro nel tempo. La genialità era usare normali fotografie e avvolgerle di nuovi significati. Dicono che 2073 si rifaccia alla Jetée, ma c’è solo la storia di Samantha Morton che vive dopo un catastrofico “evento” nei sotterranei di ex grande magazzino. Pensa e ripensa al passato e il regista Kapadia manda frammenti di documentari (spesso stravisti) di catastrofi naturali dovute al riscaldamento globale , immagini dell’11 settembre, telegiornali con attentati e attacchi di gruppi suprematisti o neonazisti, esempi di democrazia calpesta nel mondo. L’insieme del tutto avrebbe dato vita all’evento catastrofico. La differenza con la Jetée è che là le immagini erano neutre e poi rivestite di significati, qui in 2073 è solo la ripetizione in triplo estratto concentrato di qualcosa di molto visto. Giova ripetere ad oltranza l’allarme? Le due parti di 2073 (la storia e i documentari) tra loro non legano, e magari stufano…