Queer
di Luca Guadagnino
Daniel Craig è William Lee, il protagonista del romanzo di William Burroughs Queer (in Concorso): un signore di mezza età in lino bianco, cappello, occhiali trasparenti e pistola al fianco (come Burroughs in fuga perpetua dopo aver ucciso per errore la moglie) negli anni Cinquanta a Città del Messico in continua ricerca tra taverne e bar equivoci di uomini, ragazzi e di se stesso: sesso, ero, coca, oppio, alcool, scrittura, incubi, visioni, pensieri, fino a convincere Allerton, il compagno giusto, a partire con lui alla ricerca della droga perfetta, lo Yage, o Ayahuaska, “la liana dei morti” pare usata dagli sciamani (e studiata dalla Cia e dai sovietici) per acuire la telepatia. E lo Yage sembra sempre più a Sud, in fondo all’Interzona, in America Latina, ma non è droga da sballo: è uno specchio… Sesso, come previsto, molto, ma non particolarmente scioccante, molte disquisizioni sull’essere queer: attenzione ai particolari e alle architetture notevole, scelta degli scenari a volte veramente psichedelica, un’ombra di comicità involontaria quando Craig/Burroughs nella jungla col cappello e il machete sembra Indiana Jones. Guadagnino volle fortissimamente fare Queer fin dalla prima lettura del romanzo in gioventù. Fatto. Cosa ci resta? Un bel controllo dell’estetica e poi…