Genocidi e ammonimenti. Werfel e Feutchwanger

I quaranta giorni del Mussa Dagh e I fratelli Oppermann. Due profezie inascoltate

0

Schermata 2015-04-24 alle 17.47.14

Dal dizionario etimologico del Tommaseo:
mònito lat mòn-itus da MONÈRE ammonire, e propriamente far pensare a qualcosa e indi ricordare, avvisare…

Si celebra in questi giorni – se ne sta parlando molto anche sui giornali italiani – il centenario del genocidio degli armeni da parte dei turchi avvenuto nel 1915. “Il primo genocidio del Novecento” ha affermato papa Francesco.
Un libro meglio di ogni altro lo ha raccontato: I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel, tempestivamente riproposto dall’editore Corbaccio. Il libro si concentra su un episodio di quella catastrofe: la resistenza da parte di 5000 armeni che, guidati da Gabriele Bragadian, si rifugiano sulla “montagna di Mosè” (questa la traduzione di Mussa Dagh), che si trova sulla costa vicino Antiochia, e iniziano una piccola, isolata guerra contro l’esercito turco.
Gabriele Bragadian (che è un personaggio di fantasia) è un colto armeno che vive a Parigi, che incarna la figura dell’armeno cosmopolita – categoria realmente odiata dal governo e dai persecutori turchi – ex ufficiale dell’esercito turco, per il quale ha combattuto. Resosi conto dell’inutilità di ogni forma di trattativa e mediazione che i suoi correligionari stanno tentando, grazie anche alla sua esperienza militare, organizza una resistenza che si rivelerà efficace: dopo quaranta giorni di battaglie, fame, privazioni, divisioni interne, i superstiti – la gran parte dei 5000 – vengono salvati da un incrociatore francese a cui hanno segnalato la loro presenza con un incendio.
Il libro, di 1000 pagine, è molto bello e avvincente ma lo segnalo soprattutto per l’aspetto ammonitorio che esso mi sembra avere. Lo stesso Werfel ha dichiarato di averlo scritto dopo un viaggio a Damasco, dove aveva visto le penose condizioni di vita e lavoro dei bambini impiegati nella realizzazione dei tappeti. Questo avveniva nel 1929.
Ma la data di pubblicazione lo rende di sapore diverso: il 1933. Diventa impossibile non leggere nella vicenda degli armeni un preciso ammonimento per gli ebrei di Germania. In certi momenti sembra un profetico manuale di comportamento: le trattative, le mediazioni, gli interventi internazionali, la mobilitazione degli organismi umanitari, la richiesta di garanzie da parte dei paesi occidentali amici: tutto, fino al tragico epilogo, sembra una prova generale di quanto sarebbe successo in Germania a partire proprio dall’anno di pubblicazione del libro di Werfel. Non bisogna trattare, ammonisce Werfel, sarà inutile; bisogna resistere anche con la violenza.
Schermata 2015-04-24 alle 17.47.37Per questo motivo il libro mi è tornato alla mente quando ho letto l’anno scorso I fratelli Oppermann di Lion Feutchwanger (edizioni Skira). In questo caso il libro – anch’esso molto bello – non si limita ad ammonire ma denuncia apertamente quello che sta succedendo in Germania sotto il nazismo. E anche in questo caso a sconcertarmi è ancora la data di pubblicazione, il 1934. Soltanto pochi mesi dopo la salita al potere di Hitler e ben due anni prima che, grazie alle Olimpiadi, tutti i paesi occidentali si rassicurassero della “normalità” della situazione tedesca.
Nel libro si narra di una classica famiglia agiata ebraica di Berlino: colta, amante dell’arte – uno dei fratelli è un collezionista –, profondamente radicata non soltanto nella società berlinese, ma nel modo di pensare della borghesia tedesca. Si ascoltano i grandi autori tedeschi, si cita Lessing, si convive con la Berlino cosmopolita raccontata da Isherwood. Poi…
In pochi mesi, in alcune settimane in verità, le parole del Fürher, gli inni della plebaglia, l’arroganza delle squadre si rivela essere una letterale verità.
Il profeta, anche quando non è un antico sacerdote, anche nella sua moderna versione di artista è purtroppo spesso, troppo spesso, inascoltato.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome