Sono tre talenti della musica contemporanea, del jazz e non solo. Sergio Armaroli, vibrafonista, percussionista, compositore, didatta e artista totale, non è tipo da amare i confini. Specie in ambito artistico. Si dichiara pittore, percussionista concreto, poeta frammentario e artista sonoro e si esprime con un jazz basato sull’improvvisazione totale intesa come “composizione istantanea” e insieme la sua scrittura è fatta di gesti poetici, tutti da interpretare da parte di chi lo sostiene nei suoi sforzi. È autore di numerosi album – citiamo almeno Prayer And Request (2010), Vacancy In The Park con l’Axis Quartet (2015) e Deconstructing Monk In Africa (2021, con Giancarlo Schiaffini) – e ha collaborato con jazzisti del panorama free jazz e compositori di musica contemporanea come Alvin Curran, Billy Lester, Walter Prati, Roger Turner e John Pope.

Francesca Gemmo, pianista, compositrice e didatta, si muove da anni soprattutto nell’ambito della musica contemporanea e della sperimentazione, collaborando con personaggi di primo piano come Alvin Curran, Brunhild Meyer Ferrari, Steve Piccolo, Walter Prati ed Elliott Sharp. Le sue composizioni hanno avuto interpreti di pregio come Irvine Arditti, il Trio Matisse, Luca Avanzi e Magnus Andersson. Ha scritto saggi di argomento musicale e pubblicato gli album Ad Libitum (2019) e Contours (2020, con Daniel Kientzy). Giovanni Maier è uno dei massimi esponenti del contrabbasso jazz in Italia, ha suonato in tutto il mondo con musicisti di fama internazionale come Cecil Taylor, Anthony Braxton, Roswell Rudd, Franco D’Andrea, Tim Berne, Tristan Honsinger, Enrico Rava, Gianluigi Trovesi, Richard Galliano e molti altri.

Insieme, senza nessun ulteriore contributo, hanno pubblicato contemporaneamente tre album. Armaroli partecipa e compone la quasi totalità dei brani di Figure(s) a due che lo vede affiancato da Maier e di Figure(s) a tre con lo stesso contrabbassista e Gemmo, la quale, con il solo Maier, propone Stringsland, che offre undici sue composizioni.

Sergio Armaroli

Sergio Armaroli – Giovanni Maier
Figure(s) a due (Dodicilune/IRD)
Voto: 8

«Armaroli insiste sul concetto di “figure”, qui dall’una alla dodicesima, per sottolineare quanto ogni traccia – si salva solo John Coltrane, India – sia costruita su un piccolo frammento melodico», scrive Davide Ielmini nelle note di copertina. Ispirate a due album celebri datati 1977 del vibrafonista Walt Dickerson e del bassista Richard Davis, intitolati Tenderness e Divine Gemini, vede i nostri lavorare su frammenti sonori minimali, rielaborarli e macerarli, farli oggetto di continui ripensamenti e di linee espansive seghettate e sghembe, eppure spesso godibili e nitide.

È un ambito aereo e cameristico, ma la percezione arriva nel profondo, come la luce dei lampi si percepisce anche a palpebre abbassate, gli schizzi scorrono con un’intensità impressionante perché non fa appello a nessun facile artificio. Le Figure scritte da Armaroli sono modelli o incipit per l’improvvisazione, trampolini verso forme o figure melodiche elastiche e orizzontali, tracce di una nuova sollecitazione a inventare nell’attimo in cui si suona.

Se Dickerson tradusse il linguaggio di Coltrane sul vibrafono, come afferma Armaroli, che ripropone India, un evergreen di Trane, come tredicesima “figura”, i nostri due musicisti ne rielaborano il linguaggio in funzione delle loro potenzialità di micronarratori. Sono specialisti in racconti, disdegnano i lunghi percorsi, sanno essere delicati sui temi più fragili, sanno definire atmosfere più architettoniche pur mantenendo le strutture in bilico, sanno trovare fraseggi nervosi, traiettorie urgenti, pulsioni rugose. Potrebbero essere accolti come membri ad honorem della St. John Coltrane African Orthodox Church – che a San Francisco venera il sassofonista della Carolina del Nord come un santo – dato che i loro brani possono essere ascoltati anche come delle meditazioni sull’intensità spirituale del suo fare musica.

Giovanni Maier

Sergio Armaroli – Francesca Gemmo – Giovanni Maier
Figure(s) a tre (Dodicilune/IRD)
Voto: 8

Ripartiamo dall’ottimo Ielmini: «L’infinito musicale di Sergio Armaroli sta in quattro parole: dettagli, improvvisazione, microcosmo e gioco. L’infinito come lo pensava Béla Bartók, che ritraeva nello stesso tempo l’uomo e le sue ombre. Avvistando nell’incontro speculare tra alba (qui, le note pungenti del vibrafono di Armaroli e quelle cristalline del pianoforte di Gemmo) e tramonto (la timbrica scura e legnosa del contrabbasso di Maier) il brulicare della vita microcosmica.

È l’infinito di György Kurtág, che con l’opera Játékok (“giochi”), piega alla propria fantasia un’immagine del suono che sta in un divertimento.»
Ovvero nelle “figure a tre”, con tutti i nostri protagonisti in azione, il riferimento si sposta dal jazz coltraniano alla musica contemporanea del compositore ungherese di origine romena che oggi ha 98 anni e che è uno dei prosecutori dell’opera di Anton Webern in chiave post-dodecafonica. Il risultato sono 12 Figure (dalla numero 13 alla 24, dopo le altrettante del precedente cd) dalle trame sonore filiformi, con le note che sono pietre miliari all’interno di un melodismo amplissimo e di variazioni armoniche continue, dove i tre strumenti si inseriscono come traiettorie, come slanci, come graffi, sulle dilatazioni asimmetriche altrui.
A metà tra improvvisazione free e scrittura astratta, il gioco degli interplay strumentali diventa di volta in volta nebuloso oppure schizofrenico, atemporale oppure soporifero, problematico oppure oscuro, in cui il jazz appare come ospite benvoluto e insieme come convitato flessibile e adattabile. Visioni in cui ogni ascoltatore cattura il proprio vissuto e da cui trae emozioni spesso inesprimibili, quelle del trio, si immergono infine in sette frammenti dello stesso Kurtág, che aiutano a capire che base abbia l’ispirazione delle Figure e quanto esse ne siano uno sviluppo intenso, intelligente nei fraseggi e dovizioso nei dettagli.

Francesca Gemmo

Francesca Gemmo – Giovanni Maier
Stringsland (Dodicilune/IRD)
Voto: 8

Il territorio in cui si muovono i due musicisti è ancora quello della neo-neoavanguardia contemporanea spruzzata di invenzioni relazionabili al free jazz e all’instant composition, benché stavolta le composizioni siano tutte a firma Gemmo. La pianista e il contrabbassista utilizzano tutto il loro ventaglio strumentale, la tastiera e la cordiera lei, il pizzicato e l’archetto lui, per sviluppare undici brani che planano su tempi moderati e inanellano pause brevi. Giocare con le note e gli accordi, con le pause e le strutture, a mano a mano romperle e ricompattarle, andare oltre e ritornare a esse, in un lento, evanescente, insondabile universo di essenzialità e nullità, di drammaticità e pretesto.
«La musica di Gemmo e Maier», scrive ancora Ielmini, «appartiene a un alfabeto (s)conosciuto che mantiene una sua pienezza espressiva… Per accettare l’imprevedibilità – John Cage docet – che “ci fa perdere il controllo per poterlo mantenere: lasciamo che la musica galleggi”, la pianista mette l’accento sui tempi forti del suo lavoro, che allude al mondo delle corde: quattro sul contrabbasso, circa 220 in un pianoforte.»

I due sono sempre sull’orlo di perdersi nelle infinite potenzialità del loro fare musica senza cornici, nell’universo contrastato di faconde esposizioni liriche e di raucedini quasi ingloriose, di grafiche espressive in continua re-invenzione di sé stesse e di prospettive prive di orizzonti sensoriali. Un’esasperazione continua, che muove tra la profondità oscura del registro basso e l’accecante luminosità dei sovracuti senza soluzione di continuità, anche nello stesso brano, sempre nelle intenzioni. Sia che l’ispirazione venga dai “nuovi mondi nella mente degli uomini”, di cui scriveva il compositore americano Edgar Varèse, sia che abbia il sentire enigmatico e favolistico stimolato da Il racconto del mozzo della scrittrice danese Karen Blixen.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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